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SUNSHINE STATE | STEVE MCQUEEN

Di fronte a noi, nel buio dello spazio, si stagliano due soli. Uno si avvicina paurosamente a noi, l’altro si allontana, per poi incontrarsi in un equilibrio mediano. “Sunshine State” ripete la voce dell’artista Steve McQueen, “Sunshine State, Sunshine State”. Siamo già senza aria. Poi il movimento delle due stelle riprende, continua, muovendosi sempre all’opposto, la voce prosegue raccontandoci come il padre dell’artista sia stato vittima di una violenta aggressione razzista. McQueen si sofferma sui particolari della storia raccontata dal padre sul letto di morte e soprattutto ne evidenzia l’importanza che ha avuto per lui il venire a conoscenza di questo episodio drammatico della vita del padre.

Sunshine State (2022) si apre con questa confessione e mentre Steve McQueen continua nella sua narrazione, i due soli scompaiono e nella proiezione a due canali appaiono due versioni di The Jazz Singer, film del 1927 diretto da Alan Crosland e passato alla storia per aver dato inizio al cinema sonoro. L’installazione video è composta da due canali in cui il film di Crosland viene mostrato nel suo originale e nel suo negativo attraverso una proiezione su un pannello sospeso. L’artista, riprendendo la pellicola originale la manipola non solo invertendo sui toni ma anche sul tempo: da una parte il film prosegue tradizionalmente, la seconda versione presente nell’altro canale, invece procede all’inverso. Sunshine State diventa un lavoro d’archivio che gioca però proprio sui limiti dell’intervento artistico nel procedere in questa operazione, proponendo una riflessione sui contesti sociali dell’epoca applicabili alla nostra contemporaneità.

Jakie, il protagonista di The Jazz Singer (1927), è un ragazzo ebreo e si finge di colore per poter fare ciò che davvero desidera: esibirsi e cantare in performance jazz in alcuni teatri della Florida, appunto lo stato del sole. In una delle scene più iconiche, Jakie si passa del colore nero sulla pelle prima di esibirsi, il suo doppio nella proiezione a fianco invece sembra mettersi del colore bianco. Steve McQueen, dimostrando ancora una volta le sue capacità di usare metodi filmici in modo non convenzionale, riesce a parlare di minoranze e di problemi legati all’identità e alla cultura di ogni individuo.

“Wait a minute, wait a minute. You ain’t heard nothin’ yet!”: queste sono le parole che accidentalmente pronuncia il tecnico del suono all’inizio della versione originale di The Jazz Singer, ma in qualche modo potrebbero adattarsi anche alla rivisitazione operata da Steve McQueen: Sunshine State sembra essere solo l’inizio di un discorso, un’introduzione sulla condizione umana e sociale della florida degli anni ’20 del Novecento che suggerisce però il suo perpetuarsi nei decenni ma soprattutto il celare l’aspetto forse più violento delle discriminazioni raziali, rintracciabile nella storia del padre dell’artista che ancora rimbomba nelle nostre teste mentre osserviamo i sorrisi degli attori. Sunshine State… Sunshine State. La Florida e l’accanimento nel definirla lo stato in cui splende sempre il sole e le persone sono sempre contente, assume dunque una nuova valenza: il sole che dovrebbe scaldare e alleggerire gli animi è adesso un sole che brucia e che ci toglie il respiro.

 

Sunshine State è il lavoro inedito presentato presso Pirelli HangarBicocca e che dà anche il nome alla mostra dedicata all’artista inaugurata il 31 marzo e visitabile fino al 31 luglio 2022. Il video nasce come commissione dell’International Film Festival Rotterdam (IFFR) e viene presentato per la prima volta negli spazi dell’istituzione milanese in una mostra retrospettiva che comprende alcuni tra i lavori più rilevanti del percorso dell’artista.

 

Steve McQueen
Sunshine State, 2022
Veduta dell’installazione, Pirelli HangarBicocca, Milano, 2022 Opera commissionata per l’International Film Festival Rotterdam (IFFR) 2022
© Steve McQueen. Courtesy l’artista, Thomas Dane Gallery, Marian Goodman Gallery e Pirelli HangarBicocca, Milano
Foto Agostino Osio

 

11/05/2022