Simona Luchian
Simona Luchian è stata una delle due artiste selezionate da Metronom per la prima edizione del programma di residenza LIVEstudio nel gennaio 2015.
Metronom: Simona, come ricordi questa esperienza? Quale il valore aggiunto di avere lavorato qui a Modena?
Simona Luchian: LIVEstudio è stata la mia prima di residenza e la ricordo come un’esperienza molto produttiva in cui ho avuto la preziosa possibilità di lavorare a tempo pieno per un mio progetto, la cui realizzazione sarebbe stata accompagnata per la prima volta da un confronto in tempo reale con la galleria stessa e altre istituzioni o persone che collaborano con essa. Modena ha il valore aggiunto di ospitare uno dei centri più importanti per la fotografia in Italia, ovvero Fondazione Fotografia.
Durante LIVEstudio hai lavorato e riflettuto su un’opera inedita ‘L’incastro’. Nello statement di accompagnamento al progetto sostieni la crescente necessità di ibridare il linguaggio scultoreo con quello fotografico. Come hai sviluppato questa riflessione? Anche nelle tue opere più recenti stai portando avanti questa linea di pensiero?
Lo sviluppo di questa riflessione si è autocreato nel corso degli anni: è stato un evolversi nel rapporto tra me e la macchina fotografica. Non sono mai stata una fotografa pura tecnologicamente appassionata. A un certo punto, credo ci sia stato un rifiuto e un disinteresse da parte mia nel catturare immagini del reale. Ciò che mi appartiene della fotografia, ora, è la sua capacità di inquadrare le intuizioni di un mondo inventato e scolpito: in questo modo lo scatto diventa qualcosa di più, la chiusura di un meccanismo espressivo interiore. Non è la caccia del reale, ma la possibilità di inventare ed essere attivamente parte di finti mondi paralleli, di cui ci si sente i creatori. Anche ora sto portando avanti progetti seguendo questa pratica: non esiste più fotografia – opera finale – senza che non sia stata prima pensata e disegnata sul taccuino.
Pensi che la residenza in Metronom ti abbia permesso di avere maggiore distanza critica dai tuoi lavori o sia stata una concentrazione di forze e istinti creativi?
Penso mi abbia permesso entrambe le cose. Partecipare a una residenza è una responsabilità nei confronti di chi ci ha scelti e inevitabilmente diventa un momento di verifica e critica maggiore tra l’artista e il suo lavoro. Ma nello stesso tempo è stato certamente un momento di maggiore concentrazione e creatività, dati dalla possibilità spaziale e dall’esperienza in sé.
Sarai impegnata in due importanti residenze in Nuova Zelanda durante la prima metà del 2017. Come valuti l’esperienza della residenza d’artista come creatrice di contatti o di relazioni?
L’esperienza di residenza è sicuramente un’occasione unica in cui entrare in contatto con altri artisti, curatori, scrittori, giornalisti e pubblico esterno, ecc… La qualità, la serietà e l’utilità di una residenza sono direttamente proporzionali alla fioritura di nuove relazioni e opportunità. L’artista dovrebbe avere lo spazio e il tempo di confrontarsi il più possibile durante la costruzione del suo progetto e l’istituzione ospitante dovrebbe garantirne le occasioni non solo durante, ma anche una volta finita, come una rete di relazioni sempre aperta. Questa potrebbe essere la chiave di una residenza ben riuscita e appagante.
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