JOAQUINA SALGADO
Generazione Critica: La tua pratica artistica unisce tecnologie in tempo reale, scultura digitale e fotogrammetria per creare esperienze XR, spazi virtuali interattivi e performance audiovisive. Come si è sviluppato il tuo interesse per questi strumenti e processi? Quali temi centrali guidano la tua ricerca artistica?
Joaquina Salgado: Il mio interesse per le tecnologie in tempo reale è nato dal desiderio di lavorare con sistemi “vivi” — o quantomeno reattivi. Venendo da una formazione in media art, sono sempre stata attratta dall’idea che lo spazio possa rispondere a un corpo, a una voce o persino al caso. Strumenti come i motori di gioco, la fotogrammetria e il motion capture mi hanno permesso di esplorare questa tensione tra controllo ed emergenza — creando ambienti aperti, non predefiniti.
La fotogrammetria, in particolare, è diventata un modo per archiviare e rianimare — catturare frammenti di paesaggi o gesti e poi ricontestualizzarli all’interno di ecologie digitali. Ho usato questa tecnica per riflettere sugli strani “postumi” dei dati. Col tempo, questi esperimenti si sono evoluti in narrazioni speculative e sistemi interattivi.
Ultimamente penso molto all’intersezione tra filosofia e scienza, o meglio, allo speculativo — costruendo scenari e artefatti che illuminano intrecci invisibili e incoraggiano a riflettere su come la tecnologia possa abilitare futuri più equi e interconnessi, attraverso una lente queer femminista.
In definitiva, questi strumenti mi permettono di costruire mondi — non solo come contenitori di contenuto, ma come sistemi performativi e instabili che invitano lo spettatore (o il giocatore) a partecipare, intervenire o semplicemente osservare ciò che accade.
GC: Avispish presenta un personaggio che esiste all’intersezione tra sintetico e organico, fondendo texture digitali con una presenza quasi tangibile. Qual è stato il punto di partenza concettuale di questo lavoro e come si collega alla tua indagine sull’essere umano e sulla “programmazione interna”?
JS: Il nucleo concettuale di Avispish nasce da un momento di violenza: durante una manifestazione per la Giornata Internazionale della Donna in Svizzera (2023), io e molte altre donne siamo state sottopostə a riconoscimento facciale da parte della polizia. È stata un’esperienza surreale — vedere la propria identità ridotta a un dato, con la scusa della sicurezza, proprio in una giornata pensata per affermare i nostri diritti.
Avispish si chiede: Cosa significa esistere in un mondo dove ogni espressione, ogni minimo movimento del volto può essere raccolto, archiviato e usato contro di te? In risposta, ho scelto di usare le stesse tecnologie — facial capture, AI motion tracking — per reclamare e riformulare quei dati.
Il progetto presenta teste digitali in loop, scolpite a partire da catture facciali e animate con dati di movimento registrati in studio. Ognuna porta con sé frammenti di conversazioni anonime, registrate dopo l’evento — storie non solo di quel giorno, ma delle lunghe storie di dinamiche di potere di genere, che influenzano come la sorveglianza viene sentita sul corpo.
L’estetica dell’opera gioca con distorsione poetica e stratificazione emotiva. I volti si ripetono in loop — sono delicati, stanchi, severi, ambigui — intrappolati in cicli che appaiono intimi ma indecifrabili. Queste teste animate sono affetti macchinici, espressioni di memoria emotiva. C’è una resistenza silenziosa nella loro presenza: esistono perché prima sono state qualcos’altro.
Concettualmente, Avispish parla anche di metamorfosi. Mi interessa capire come le tecnologie pensate per il controllo possano essere piegate verso la cura, il racconto o la memoria collettiva. Il motion capture guidato dall’IA viene usato per animare un altro tipo di presenza: un corpo speculativo.
GC: La presentazione dell’opera si apre con la citazione: “Come le vespe, mi sento interconnessa con le altre specie. Avispish è un possibile personaggio che vive dentro di me, è il risultato della fusione tra la mia morfologia e i dispositivi”. Puoi approfondire?
JS: In Avispish, il personaggio è intenzionalmente non completamente umano, ma una nuova forma — che fonde tratti umani con accenni all’insettoide, evocando l’idea di una creatura che ha subito una metamorfosi. È come se il personaggio fosse sospeso tra mondi: umano, macchinico e qualcos’altro — una sorta di nuova specie nata sia dall’esperienza personale che dai sistemi tecnologici che cercano di catturarci.
Questa forma ibrida e speculativa parla di come i nostri corpi e identità possano essere rimodellati nello spazio digitale — di come qualcosa di profondamente personale, come le espressioni facciali, possa essere astratto e condiviso. È un’esperienza anonima e collettiva, ma immagina anche cosa potrebbe emergere da questa fusione — una creatura che parla non solo della nostra umanità, ma anche di qualcos’altro, qualcosa di nuovo.

“Avispish”, Joaquina Salgado, 2022, video still. Courtesy the artist ©
GC: L’influenza del videogioco, degli spazi interattivi e delle performance in tempo reale è evidente nel tuo lavoro. Come integri questi elementi e quali possibilità offrono per la narrazione e il coinvolgimento del pubblico?
JS: Tutto parte da un’idea: una volta che ho un concetto chiaro, scelgo le tecnologie più adatte a farlo esistere. Per me è importante non inseguire semplicemente le mode tecnologiche, ma fornire all’opera gli strumenti di cui ha realmente bisogno per prendere forma. È per questo che considero il mio lavoro post-digitale: il nucleo è sempre generato al computer, ma incorporo anche altre tecniche che mi aiutano a trasportarlo nel mondo reale.
L’integrazione di videogiochi, spazi interattivi e performance in tempo reale nasce in modo naturale da questo approccio. Questi elementi permettono una narrazione dinamica e non lineare, in cui lo spettatore può interagire e contribuire, aggiungendo coinvolgimento emotivo e senso di agency all’opera.
GC: Come parte di Amplify DAI, fai parte di una rete internazionale di artiste e curatrici che lavorano nelle arti digitali. In che modo questa esperienza collettiva ha influenzato la tua pratica? E che ruolo ha la comunità nel panorama in evoluzione dell’arte digitale?
JS: Per me, Amplify DAI è stata la prima esperienza con una prospettiva internazionale. Vengo dall’Argentina, dove l’arte mediale è principalmente sostenuta dagli stessi artisti, per la mancanza di supporto istituzionale, quindi per me è stato un grande cambiamento. Amplify DAI mi ha dato l’opportunità di connettermi con artiste e curatrici all’estero per la prima volta e ha davvero contribuito a professionalizzare la mia pratica.
L’impatto di quella connessione è ancora in corso. Negli ultimi sei anni ho collaborato con diversi membri del collettivo, e attualmente lavoro attivamente con due di loro. Il collettivo è stato anche fondamentale nel fare pressione per una maggiore presenza femminile in festival e programmazioni istituzionali, aprendo nuove opportunità per tutte noi.
GC: Molti dei tuoi lavori performativi esistono all’intersezione tra mondi digitali e corpo fisico, dove il sé performativo si estende su entrambi i piani. Qual è il ruolo del corpo nella tua pratica e in che modo pensi che la presenza fisica interagisca con l’identità digitale e gli ambienti virtuali?
JS: Il corpo è al centro della mia pratica, perché è dove il mondo digitale e quello fisico si incontrano. In lavori come Avispish, il corpo diventa ponte tra organico e sintetico, ed è anche dove l’identità diventa fluida. Usando il motion capture e il tracciamento facciale, i movimenti e le espressioni del corpo vengono traslati nel mondo digitale, ma non sono mai fissi. Evolvono, proprio come l’idea di metamorfosi che attraversa il mio lavoro.
La presenza fisica aiuta ad ancorare l’esperienza digitale, rendendola più reale e connessa. Gli spazi digitali offrono nuove modalità per esprimere l’identità, ma sollevano anche interrogativi sull’autenticità e sulla proprietà del sé. Quanto possiamo davvero esprimere di noi nel mondo digitale? E come questo cambia la percezione che abbiamo di noi stessi?
Per me, il legame tra fisico e digitale non è una sostituzione, ma un continuo scambio in cui ciascun mondo influenza e trasforma l’altro.

“Avispish”, Joaquina Salgado, 2022, video still. Courtesy the artist ©