HUSSEIN NASSEREDDINE
Dal 1 al 4 febbraio 2024 Fondazione Zucchelli di Bologna ha ospitato la mostra “Deserted Island (on dropping bomb*shells)”, organizzata da Studio Stuppia in collaborazione con OOU Nomadic Gallery, con il sostegno di Galleria d’arte PORTANOVA12 e Cassata Drone Expanded Archive. La mostra, curata da Dušan Smodej e Carmen Lorenzetti, è incentrata su temi quali l’ambiente, la guerra, la censura, i mass-media, e coinvolge sette diversi artisti/collettivi internazionali. Attraverso l’incontro di questi differenti stili narrativi, il progetto espositivo si pone l’intento di ricreare una situazione di pace e serenità, quella tipica calma che si respira prima (o dopo) una tempesta.
Hussein Nassereddine, uno degli artisti coinvolti, presenta il progetto “Two Birds, Sleeping”.
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Ti descrivi come un artista multidisciplinare che lavora tramite installazioni, scrittura, video e performance nate da una pratica legata al linguaggio. Come hai iniziato il tuo percorso artistico? Quale tecnica è venuta prima? E come si sono sviluppate le une con le altre?
Hussein Nassereddine: È difficile definire il momento in cui tutto ha avuto inizio. C’è una risposta breve e una lunga. La risposta breve è che è venuto prima il linguaggio, poi dopo si sono inserite le varie tecniche, come le installazioni, i video o le performance.
La risposta lunga è che tempo fa i miei genitori sono stati sfollati dalla loro città natale nel sud del Libano, occupata dalle forze israeliane. Hanno dovuto trasferirsi nella capitale, Beirut, ed è lì che sono nato nei primi anni ‘90, mentre la nostra città era ancora occupata. Durante i miei primi 7 anni di vita, i nostri parenti venivano a trovarci nella nostra casa di Beirut e raccontavano con le loro voci della città che avevano lasciato e a cui non potevano più fare ritorno. Cantavano e descrivevano le case, gli alberi e le strade, formando una meticolosa mappa sonora del luogo. Mi ero così creato un’immagine mentale di quel luogo e avevo sviluppato una certa sensibilità verso queste canzoni e poesie improvvisate. Nel 2000 il sud fu finalmente liberato e io ero desideroso di vedere questo luogo che avevo memorizzato mentalmente attraverso i suoni. Quando siamo arrivati, abbiamo scoperto che il villaggio era stato completamente distrutto e ciò che rimaneva era solo quella immagine sonora che avevo. A volte dico scherzosamente che questo è stato il momento in cui sono diventato un artista.
Il tuo nome utente su Instagram è @photo.hussein. Vedi una connessione tra la fotografia, il linguaggio, le parole e la poesia? Su questo concetto si basa la tua installazione sonora “Two Birds, Sleeping”, che farà parte della mostra “Deserted Island (on dropping bomb*shells)” curata da Dušan Smodej e Carmen Lorenzetti, in programma dal 1 al 4 febbraio 2024 presso la Fondazione Zucchelli. Puoi raccontarci di più su questo lavoro?
HN: Il nome ‘photo.hussein’ è ispirato agli studi fotografici di Beirut del secolo scorso, dove un fotografo chiamato ad esempio Samir, o Samira, avrebbe automaticamente chiamato il suo studio “Photo Samir” o “Photo Samira”. Quando ho creato il mio account ho pensato che fosse divertente e da allora non l’ho mai cambiato.
L’idea di creare un’immagine senza alcun elemento visivo è al centro del mio lavoro e, in particolare, di “Two Birds, Sleeping”. Tornando alla storia che ho raccontato nella prima risposta, “Two Birds, Sleeping” è la registrazione audio di una passeggiata con mio fratello, nello stesso villaggio, 22 anni dopo il momento che avevo descritto. La passeggiata e la nostra conversazione approfondiscono la portata di questi racconti orali e interrogano i modi in cui possiamo ricreare, attraverso il linguaggio, luoghi che non abbiamo mai visto. Esplora anche la storia della “Descriptive Poetry”, una pratica presente nella letteratura araba antica, in cui i poeti venivano mandati in certi luoghi con lo scopo di descriverli. Il lavoro è costruito su uno sottofondo sonoro di una canzone d’amore del secolo scorso (pubblicata circa nello stesso periodo dell’inizio dell’occupazione del sud). La canzone è la registrazione di una sessione di prova di circa 40 minuti tra il cantante e il compositore, che ho amplificato tramite degli altoparlanti in tutto il villaggio mentre camminavamo. Mentre noi camminavamo e parlavamo, la canzone echeggiava nel panorama aperto nel sud del Libano, mescolandosi con i suoni provenienti da altri luoghi e creando così un memorabile paesaggio sonoro.
Il lavoro cerca di esplorare questa dualità tra un luogo reale e la sua immagine nel linguaggio: ci siamo io e mio fratello, ci sono il cantante e il compositore che cantano questa canzone d’amore in sottofondo, c’è il paesaggio sonoro con i suoi echi, ma non ci sono immagini visive.
“Photo Hussein” potrebbe essere uno studio fotografico dove si va per farsi fotografare con parole e canzoni.
La mostra a Bologna sembra essere abbastanza politicizzata. La politica è un argomento importante nel tuo lavoro? Vieni da una terra circondata da conflitti e guerre, ma il tuo lavoro è rassicurante e poetico.
HN: Le passeggiate al pomeriggio con coloro che ami sotto il sole dorato che tramonta, mentre la brezza ti accarezza il viso, è qualcosa che nessun colonizzatore o occupante potrà mai portarti via, non importa quanto duramente ci possa provare.
La tua ultima performance, intitolata “Laughing on the River, Your Eyes Drown in Tears”, è una sorta di lettura poetica. Nella cultura araba, la poesia viene recitata ad alta voce più spesso che in Occidente. Qual è la linea di demarcazione tra una lettura poetica e una performance artistica? O, per esempio, una lecture-performance.
HN: Nel mio lavoro la poesia viene sempre utilizzata come mezzo, come veicolo di idee e sentimenti e non come risultato finale. È per questo che sono un artista e non un poeta.
In questa performance, la poesia è utilizzata come riferimento storico e come interazione con altre pratiche presenti nella messinscena, ad esempio canzoni, sculture e opere su carta. La figura del poeta come narratore di tempi e luoghi (specialmente nella letteratura araba) è un elemento importante in questa performance. Ho voluto raccontare e descrivere la storia dell’acqua in linguaggi, luoghi e fontane ormai lontani, e la mia personale relazione con il fiume, il tempo e la Storia.
La performance spazia tra poesie arabe di epoca preislamica, testi da me scritti, canzoni d’amore appartenenti ai tempi d’oro della musica Pop araba, racconti orali tramandati nei villaggi, teorie sul lessico della visione nella lingua araba (osservare, vedere, gettare uno sguardo, percepire, guardare eccetera… – la lingua araba ha circa cento verbi per descrivere il vedere qualcosa) e come tutto ciò influisce sulla nostra percezione del tempo.
Vivi e lavori tra Parigi e Beirut. La connessione tra queste due città è storica, ma ad oggi diresti che si sta rafforzando o indebolendo? Perché ti sposti tra le due città?
HN: Parigi e Beirut sono entrambe città con un vivido passato artistico. Ho il mio studio a Beirut, e sono molto legato a questa città per diversi aspetti. Trascorro il mio tempo lì producendo opere ed esplorando nuove tecniche e materiali. Il sud del Libano è anche una fonte di ispirazione che trova sempre posto nei miei lavori, per la sua geografia e per i suoi racconti narrate. Mi piace come il tempo funziona lì. Parigi, d’altro canto, è un luogo che mi permette di pensare e riflettere, che mi mette in contatto con molte pratiche artistiche diverse, oltre che sviluppare una relazione con il passato molto diversa da quella che ho nel mio paese d’origine. Anche gli incontri che avvengono in queste due città sono molto diversi, cerco di imparare da entrambe.
Quali sono i tuoi piani per il futuro?
HN: Ho intenzione di approfondire ulteriormente i temi di cui abbiamo parlato, con nuovi lavori che esplorano il linguaggio, il suono, la voce umana e il tempo. “Laughing on the River, Your Eyes Drown in Tears” quest’anno sarà in tour con mostre in diversi paesi. Ho anche intenzione di iniziare a lavorare su un nuovo corpus di opere che raccolgono la mia ricerca svolta negli ultimi due anni riguardo i cantanti e il tempo.
Inoltre, la traduzione inglese del mio primo libro “How to see palace pillars as if they were palm trees” (la versione in arabo è stata pubblicata nel 2020 da Kayfa ta) uscirà presto insieme ad altre pubblicazioni su cui sto attualmente lavorando e che spero saranno pubblicate a breve.
Immagine di copertina: Hussein Nassereddine, foto di Vartan Serayderian, courtesy dell’artista.