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HEDWIG FIJEN

Generazione Critica: Da pochi mesi si sono conclusi i 100 giorni di Manifesta 14 Prishtina, evento biennale ospitato nella sua quattordicesima edizione in Kosovo. Il tema è stato il recupero degli spazi pubblici, con l’obiettivo di ripensare il dialogo con un pubblico più ampio e coinvolgere in maniera profonda gli abitanti. Quali sono state le ragioni che ti hanno portato a selezionare questa città? E perché ti sei concentrata su questi temi in relazione all’attuale contesto culturale e sociale di Prishtina?

Hedwig Fijen: Manifesta 14 è stata la prima esperienza della biennale all’interno della regione dei Balcani occidentali. Questa scelta nasce dall’obiettivo di una diffusione geografica di Manifesta: l’idea alla base era quella di raggiungere nuove città internazionali e, così facendo, evitare il rischio di finire sempre nei paesi dell’Europa occidentale.
Considerando che Manifesta è un progetto basato sulla città, le invitiamo a inviarci una proposta di collaborazione futura: durante Manifesta 12 a Palermo abbiamo iniziato a pensare a come la mafia ha cambiato e trasformato la città, così siamo arrivati alla domanda Come potremmo rivendicare gli spazi pubblici di una città? A Prishtina sono stati ispirati da questo punto di partenza e ci hanno chiesto se Manifesta potesse aiutarli a trasformare gli spazi pubblici della loro città, racchiusi nella specifica cornice del dopoguerra e del post-comunismo. Il difficile e delicato rapporto all’interno della sfera pubblica di Prishtina è stato il contesto in cui Manifesta si è trovata ad operare e agire. Inoltre, bisognava considerare anche l’influenza del turbocapitalismo che, nel dopoguerra, trasformò e modificò gli spazi pubblici della città. Se teniamo conto di tutti questi fattori è chiaro come per Manifesta sia fondamentale costruire un dialogo profondo e forte con gli abitanti della città in cui opera, con l’obiettivo di pulire, rendere più verde e ripensare il significato di benessere per le giovani generazioni.

È proprio seguendo questo approccio che Manifesta si differenzia dalle altre biennali: noi non ci riferiamo ai nostri professionisti esterni come curatori, preferiamo chiamarli mediatori creativi. Questi mediatori creativi sono una parte integrante della squadra e non si limitano a decidere il tema dell’edizione, ma collaborano con il team locale, le parti interessate e i cittadini per raggiungere un quadro concettuale. Durante questa parte è importante concentrarsi su tali domande: Dove siamo? Cosa significa operare in termini politici, sociologici ed ecologici? Quindi, abbiamo iniziato la nostra missione a Prishtina da un’indagine sullo status quo della città: ci piace definire questo processo la ricerca pre-biennale, nella quale delineiamo il quadro concettuale, cosa vorremmo fare e per chi. Inoltre, è fondamentale in questo processo sottolineare ciò che vogliamo lasciarci alle spalle come impatto sostenibile a lungo termine nella città e nella società. Manifesta si definisce come nomade e siamo quindi alla ricerca di un’eredità sostenibile: non è solo fare una mostra, quello che cerchiamo sono processi di trasformazione sia su scala urbana che su scala artistica. Manifesta vuole essere un incubatore di cambiamenti e trasformazioni e per poterlo fare è fondamentale disporre di una rete forte e capillare di specialisti, urbanisti, architetti, scrittori, scienziati e mediatori creativi.

Con Manifesta 14 abbiamo voluto creare istituzioni permanenti dove le persone potessero raccontare le loro storie personali dopo il trauma della guerra per una ridefinizione dello spazio urbano e della connessione umana all’interno della città. Per questo abbiamo deciso di puntare sul recupero degli spazi pubblici coinvolgendo un numero piuttosto ampio di architetti. Ad esempio, abbiamo collaborato con CRA – Carlo Ratti Associati, uno studio di innovazione e design con sede a Torino, che ha progettato una serie di interventi simbolici allo scopo di creare nuovi punti di incontro per i cittadini di Prishtina.

Korriku Street, 2022 © Manifesta 14 Prishtina, Atdhe Mulla

Korriku Street, 2022
© Manifesta 14 Prishtina, Atdhe Mulla

GC: Manifesta si definisce una biennale nomade ma una volta iniziato il “lavoro sul campo” diventa fondamentale un approccio site-specific e un dialogo profondo e costante con le entità del luogo e gli abitanti. Hai citato gli interventi di Carlo Ratti, che ha realizzato diverse opere come la “Brick factory” (fabbrica di mattoni) o il “Green Corridor” (corridoio verde) i quali potrebbero riattivare e riabilitare luoghi dismessi o abbandonati in diverse zone della città. Quali sono le strategie che il team di Manifesta utilizza per operare sulla città?

HF: Abbiamo selezionato Carlo Ratti per il suo approccio all’urbanistica partecipativa e le sue idee sulla creazione di interventi simbolici dove è possibile mostrare alla gente quanto facilmente si possono trasformare determinati spazi. Questo approccio invita comunità e cittadini a continuare un processo di trasformazione degli spazi urbani che porti a un diverso modo di vivere la dimensione pubblica.

Quello che è stato fatto con Carlo Ratti è stato un vero e proprio processo partecipativo dove gli architetti e il team di Manifesta hanno potuto entrare in contatto con le comunità di Prishtina. L’importante era capire quali fossero gli interessi delle persone e seguendoli avviare una trasformazione negli spazi pubblici che potesse soddisfare i loro bisogni. Per poter fare tale azione il team di Manifesta ha realizzato oltre 400 interviste alle istituzioni locali e agli abitanti, che hanno chiarito nodi problematici come la privatizzazione degli spazi pubblici durante il turbo-capitalismo. Questo ci ha portato a realizzare progetti che promuovessero il tempo libero, come la creazione di giardini pubblici dove sedersi a leggere o studiare senza dover pagare per farlo: l’obiettivo era evitare gli spazi commerciali e dare la possibilità alle persone di frequentarsi e incontrarsi in una dimensione pubblica.
Altri elementi importanti di Manifesta 14 sono stati la pulizia e l’inverdimento delle aree: insieme a CRA – Carlo Ratti Associati, è stato realizzato un corridoio verde che potesse collegare diverse parti della città attraverso un sistema di sentieri e passeggiate. Con questo progetto è stato anche possibile dare un esempio di come la pulizia può essere parte integrante dell’intervento architettonico, in quanto è stato realizzato partendo da materiali che erano già presenti e che Carlo Ratti Associati si è limitato a riordinare all’interno dello spazio. Tale semplice atto ha creato un cambiamento radicale nel vivere e concepire la realtà urbana.

Non si tratta tanto di un intervento artistico, quanto architettonico e urbanistico, e questo si adatta perfettamente a ciò che è Manifesta: non è una biennale d’arte tradizionale perché siamo nomadi, cerchiamo di entrare nelle società e concentrarci sui loro temi più importanti, con un approccio geografico e sociale. Considerando il contesto specifico di Prishtina era importante affrontare l’esperienza della guerra, e forse quello che siamo riusciti a fare potrebbe dare una scintilla di speranza che, dopo una storia così turbolenta – e durante un periodo così controverso con l’invasione russa dell’Ucraina in corso – forse lentamente, una o due generazioni dopo, le persone possono seguire per iniziare a raccontare e condividere storie ed esperienze vissute.

Green Corridor, 2022, CRA - Carlo Ratti Associati © Manifesta 14 Prishtina, Ivan Erofeev

Green Corridor, 2022, CRA – Carlo Ratti Associati
© Manifesta 14 Prishtina, Ivan Erofeev

GC: Come stai sottolineando, Manifesta ha la sua identità nell’essere nomade. Questa è una caratteristica incredibile che rende Manifesta unica nel suo genere, ma è difficile confrontarsi con realtà e città sempre diverse. Cosa sta aiutando la Biennale nel suo approccio e nelle sue azioni per evitare il rischio di imporre il proprio stato d’animo o le proprie usanze?

HF: È importante sottolineare che Manifesta sta dando una struttura all’energia locale, dopodiché cerchiamo di creare una squadra con la maggioranza dei membri provenienti dal contesto locale in cui stiamo lavorando.
Quello che possiamo offrire è un sistema, un modello in cui gli specialisti locali possono lavorare. Non è tipo: Manifesta si precipita dentro e prende il controllo. Siamo diventati principalmente un incubatore per connettere voci diverse mentre costruiamo relazioni con i politici e le principali parti interessate nelle città ospitanti in cui operiamo. Queste relazioni sono cruciali in termini di investimento: la cultura è anche un fattore economico e investire nella sostenibilità, nelle istituzioni, nelle biblioteche, nella mobilità, negli spazi pubblici non giova solo ai cittadini ma anche al sistema economico di un Paese. Un evento come Manifesta ha molteplici effetti sulla città e sulla società che vanno al di là del campo culturale. In questo aspetto Manifesta può essere considerato come un creatore di pratiche narrative.

Il Centro per la Pratica Narrativa (Centre for Narrative Practice) ha portato cambiamento e ha anche lasciato un’eredità alla città, come ha fatto il Teatro Garibaldi di Palermo durante Manifesta 12. Generare un cambiamento permanente che possa continuare anche dopo la fine di Manifesta è il fulcro di tale approccio. A Prishtina, ad esempio, la Brick Factory si evolverà in un museo e molte opere dei partecipanti locali di Manifesta 14 faranno parte della sua futura collezione pubblica. È importante sottolineare i diversi impatti che si sono verificati durante Manifesta 14 perché la maggior parte delle volte li perdi mentre sei nel processo, ma questo definisce cosa può essere una biennale e cosa può fare la cultura in un periodo in cui si affrontano le conseguenze della pandemia, i problemi di mobilità, i problemi ecologici e persino una guerra. Cosa può fare l’arte?

GC: Essere nomadi significa essere aperti a una costante crescita e cambiamento, apprendere e insegnare. Rispetto alle precedenti edizioni quali sono i ponti che Manifesta continua a mantenere? Quali tracce sono ancora visibili e soprattutto cosa si può ancora fruire?

HF: Non ci si rende mai conto che è necessario includere l’eredità all’interno della Biennale stessa. Il Teatro Garibaldi di Palermo rimane un esempio calzante: una volta aperto al pubblico è stato lo spazio perfetto per mettere in contatto tutti i diversi partecipanti, sia dal punto di vista artistico che da quello politico ed economico. Manifesta 12 ha creato una trasformazione generale della città sotto diversi aspetti, in modo materiale (sono stati aperti o ripristinati nuovi spazi per la cultura e il turismo) ma anche in modo immateriale (Palermo ha iniziato a essere vista come un’importante città di profondo interesse artistico grazie al suo patrimonio culturale e alla sua importanza all’interno della scena artistica contemporanea a livello internazionale).

Quello che abbiamo sbagliato nell’esperienza di Manifesta 12 è stato non rendere il Teatro Garibaldi uno spazio culturale permanente. Attualmente Andrea Cusumano, al tempo responsabile della Cultura, sta cercando di assicurarsi quel luogo perché si sente il bisogno di uno spazio indipendente dove giovani artisti o curatori possano organizzare mostre o eventi interdisciplinari. Facciamo errori e impariamo da loro, ed è giusto dire che Manifesta ha bisogno di ascoltare le esigenze delle comunità locali, professionali e non.

Un’altra esperienza che abbiamo appreso è il non voler più lavorare con il classico curatore: abbiamo cambiato i nostri criteri curatoriali e stiamo cercando persone che siano disposte a lavorare in modo partecipativo, ascoltando i bisogni delle altre identità coinvolte e non solo nell’ambito artistico. Questo è il tipo di impegno che vorremmo portare avanti e non significa che non crediamo nell’autonomia dell’individuo. Questi aspetti devono essere accessibili non solo a chi è stato educato alla cultura ma anche a chi non frequenta mai eventi di questo genere. Se vuoi davvero cambiare certe politiche nelle città o trasformare pratiche culturali e artistiche, devi collaborare con le figure politiche e amministrative all’interno del contesto specifico.

CG: Quali sono i nuovi obiettivi di Manifesta 15, che avrà luogo a Barcellona? Considerando le tante differenze che possono esserci tra piccole città, come Palermo o Prishtina, e una città più grande come Barcellona, dove vorreste concentrare la vostra azione e attenzione?

HF: Quello su cui stiamo lavorando e indagando a Barcellona è il dialogo tra i musei e le istituzioni culturali, nonché i bisogni degli abitanti, non solo dei turisti. Le domande principali sono: Chi possiede la città? A chi appartengono le istituzioni culturali? Ada Colau, sindaco di Barcellona, ha invitato Manifesta a creare un progetto che possa coinvolgere le aree metropolitane dove le persone potrebbero non avere un ampio accesso alle istituzioni culturali o ad un sistema di mobilità che aiuti a raggiungerle. Con Manifesta 15 puntiamo a creare una collaborazione più proficua tra la città e i cittadini, implementando le infrastrutture e comprendendo i bisogni delle persone che vivono nell’area metropolitana.

Cosa potrebbe succedere se Manifesta creasse un modello di cura e assistenza che possa essere esteso dal centro della città alle aree metropolitane? A seguito di questa domanda, vorremmo invitare i collettivi a lavorare con le diverse comunità per essere in grado di capire quali sono i bisogni e i maggiori problemi all’interno del campo culturale e del quadro ecologico di Barcellona. In questo senso Manifesta 15 è incentrata sul tema della cura e salvaguardia: raggiungere un benessere nel quadro sociale e culturale, includendo anche un’implementazione dell’ambiente verde e sostenibile in cui sia possibile trovare modi di vivere alternativi.

GC: Manifesta, pensando alle esperienze passate e ai nuovi obiettivi per i progetti futuri, stabilisce l’importanza della cura e salvaguardia all’interno del contesto culturale come punto di partenza per una più ampia operazione sulla città e all’interno della società. In questo senso, può la Biennale essere identificata per i suoi interessi in una dimensione emotiva di ciò che l’arte e la cultura possono fare?

HF: I modelli di educazione e mediazione sono il fulcro e il cuore del nostro sistema: per Manifesta l’ascolto e la narrazione sono fondamentali perché solo così si possono creare diverse connessioni tra persone e spazi. La cura e la salvaguardia sono quindi fondamentali. Curare ciò che potrebbe essere andato storto negli ultimi anni e preservare un nuovo sistema di interconnessione tra la città e gli esseri umani, ma anche tra gli esseri umani stessi.

Carlo Ratti, director of CRA - Carlo Ratti Associati © Photo by Brendan Zhang

Carlo Ratti, director of CRA – Carlo Ratti Associati
© Photo by Brendan Zhang