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HARRIET DAVEY

Generazione Critica: La tua pratica si muove tra modellazione 3D, animazione e ritrattistica digitale, creando esseri ibridi e iper-fluidi che sembrano esistere al di là delle tradizionali definizioni di identità. Come hai sviluppato il tuo approccio all’estetica digitale e quali temi o influenze guidano la tua ricerca artistica?

Harriet Davey: Circa sette anni fa ho iniziato a imparare da autodidatta Blender e il 3D, principalmente per noia, ma anche per curiosità. Ben presto mi sono ossessionatə con le figure e i corpi virtuali, soprattutto dopo aver scoperto che non era necessario crearli completamente da zero. Ho trovato un secondo software, Daz 3D, che attraverso slider, morph e preset offre un’esperienza simile alla creazione di un personaggio in un videogioco (sempre la mia parte preferita negli RPG), con opzioni praticamente infinite. Mi sono immersə in questo mondo, utilizzando solo software per hobbisti e flussi di lavoro non standard per l’industria, ma rielaborandoli in modo da creare opere che sembrano avere quello stesso livello qualitativo.

GC: I tuoi ritratti spesso raffigurano figure aliene che sfumano i confini tra umano e non umano, artificiale e organico. Cosa ti attrae di questa estetica e come vedi queste entità in relazione alle idee contemporanee di auto-rappresentazione e identità?

HD: Tutte le mie figure sono un’estensione di me stessə, una sorta di drag, se vogliamo. Un modo per esplorare un aspetto fisico e un’identità che nella vita reale non potrei mai immaginare di avere. C’è qualcosa di speciale nel trasferire attributi diversi di me in questi personaggi e avere il totale controllo sui loro movimenti, animazioni, posizionamenti e ambientazioni. Le figure nascono per prime, gli ambienti seguono sempre, modellati sulla base del personaggio che li abita. Non direi che ci sono molti riferimenti diretti da cui traggo ispirazione, forse l’elemento più vicino è l’uso di versioni disegnate a mano di pattern naturali e texture di pelle. Ma sono improvvisati e creati a memoria, piuttosto che copiati da riferimenti diretti.

GC: Molti dei tuoi lavori sembrano sfidare gli standard consolidati di bellezza e forma corporea, presentando identità fluide e in continua trasformazione. Vedi i tuoi esseri digitali come visioni speculative del futuro o piuttosto come un riflesso di qualcosa di profondamente presente nella cultura visiva di oggi?

HD: Non direi necessariamente che rappresentano il futuro, ma sono un possibile futuro. Per ora restano una verità ancorata al presente, direttamente legata alle esperienze vissute di genere ed espressione. Onestamente, credo che il vero futuro sia forse più cupo, una regressione rispetto allo stato attuale del mondo, a meno che non facciamo attenzione.

“3D Animation Showreel”, Harriet Davey, 2023-2024, video still. Courtesy the artist ©

“3D Animation Showreel”, Harriet Davey, 2023-2024, video still. Courtesy the artist ©

GC: L’uso di texture digitali, pelli metalliche e superfici iridescenti nei tuoi ritratti conferisce loro una presenza iperreale ma al tempo stesso irreale. Come pensi che queste scelte materiche influenzino il modo in cui gli spettatori si relazionano al tuo lavoro? Aumentano un senso di alterità o…?

HD: Quando ho iniziato e non avevo ancora le competenze che ho ora su illuminazione e rendering, rendere le superfici lucide e scivolose era quasi un trucco per far sembrare il lavoro più autentico o realistico. È diventata un’abitudine che ho mantenuto, rifiutando di evolvere questa parte del processo. Il mio shader per la pelle non è stato aggiornato da molti anni. Mi piace così. Mi permette di evitare l’effetto inquietante della uncanny valley, perché la pelle non cerca di imitare quella umana reale, ma esiste con una sensazione di morbidezza, evitando l’aspetto ceroso e innaturale che vedo spesso nelle pelli CG.

GC: In un articolo di Ruby Boddington per It’s Nice That (ottobre 2020) viene menzionato che spesso hai definito la tua pratica come The Real Unreal, esplorando l’identità attraverso avatar digitali, assumendo il ruolo di un fotografo che ‘scopre’ e ‘sceglie’ questi esseri ibridi. Una di queste figure, Whowle, è una versione virtuale di te stessə, che fonde tratti personali con un’estetica ultraterrena. Come funziona Whowle come estensione della tua identità e cosa rivela questo processo sulla natura fluida dell’auto-rappresentazione negli spazi digitali? Puoi approfondire il concetto di The Real Unreal?

HD: Whowle è stato il mio nome online fin dall’adolescenza. Il mio gamer tag, il mio alter ego. Dopo anni passati a creare avatar per altre persone e celebrità, ho deciso di realizzarne uno per me stessə. Whowle incorpora alcuni dei miei tratti: texture della pelle e tatuaggi scannerizzati, occhi. Molti aspetti sono simili a me, ma è come vedermi attraverso una lente distorta. Con loro posso giocare a dressing up in modo queer e fluido. Mi piacerebbe creare un videogioco per esplorare il lore dei mondi che ho costruito attorno a Whowle, in modo che anche altri giocatori possano dare uno sguardo alla loro vita.

GC: Le tecnologie digitali e l’intelligenza artificiale stanno plasmando il modo in cui percepiamo l’identità e il corpo, a volte rafforzando ideali esistenti e altre volte creando estetiche completamente nuove. Dove vedi posizionata la tua pratica in questo cambiamento in corso? E come pensi che gli strumenti digitali stiano influenzando il modo in cui costruiamo e sperimentiamo l’identità oggi?

HD: È una questione difficile. E qualcosa a cui penso molto ultimamente. Ho scritto molte riflessioni su questo tema di recente e le ho condivise con un amico. Sono felice che tu possa usare questi pensieri, perché sono esattamente ciò che risponderei anche qui.

“3D Animation Showreel”, Harriet Davey, 2023-2024, video still. Courtesy the artist ©

“3D Animation Showreel”, Harriet Davey, 2023-2024, video still. Courtesy the artist ©