ELENA GIULIA ROSSI
GC: Com’è avvenuto il passaggio, nel tuo percorso formativo, da un approccio gestionale all’arte e alla cultura, all’interesse per la ricerca nel campo della net art e delle arti multimediali? Come riesci a conciliare o unire questi due campi di indagine?
EGR: In realtà ho iniziato a lavorare nell’arte mentre stavo facendo ricerca su questi argomenti. Vivevo a Chicago negli anni in cui net art e new media art emergevano tra le righe di mailing list e rare pubblicazioni dedicate al tema. Direi che approccio gestionale e ricerca vanno sempre a braccetto, o almeno dovrebbero. Non è affatto facile. Certamente, negli anni in cui ho curato il progetto per il MAXXI (NetSpace e NetinSpace, 2005 – 2010) il tempo per la ricerca non era molto e ho messo per lo più in campo le ricerche fatte negli anni prima. Gli anni trascorsi tra biblioteca e archivio (2011 – 2013), con la costruzione di una sezione dedicata alla media art (tutt’oggi consultabile alla Biblioteca MAXXI) mi ha permesso di riprendere la ricerca in maniera più approfondita, proseguendo poi con la piattaforma Arshake. Arshake nasce dalla necessità di creare un archivio e un tessuto connettore che si occupasse di linguaggi ibridi con un taglio trasversale. New media art, arte e scienza, ma non solo. Il formato ‘piattaforma’ era quello più adatto per flessibilità e capienza di archivio.
GC: Tra gli argomenti affrontati da “Archeonet” (Lalli editore, 2003) c’è la questione dell’archiviazione tra spazi museali e spazio digitale. Il tuo approfondimento nel campo digitale e transdisciplinare ha permesso che venisse presa in analisi la questione dell’immaterialità delle opere in rete sia da un punto di vista del mercato che di archiviazione, come vedi questa tematica a quasi vent’anni di distanza dalla pubblicazione di “Archeonet”?
EGR: Ti ringrazio molto per aver portato alla luce Archeonet. E’ una pubblicazione decisamente datata. Questi approcci creativi erano ancora in via di riconoscimento; c’era ancora necessità di categorizzare per dare un nome ad esperienze difficili da comunicare al di fuori della stretta cerchia di appassionati che se ne interessava. Le categorizzazioni sono tanto necessarie quanto pericolose con l’andare del tempo. C’è stato un momento in cui questi termini, come net art e web art, non erano più adatti ad indicare progetti che, nel seguire le evoluzioni di internet, ne avevano seguito anche le sue trasformazioni verso sconfinamenti e contaminazione sempre più radicali con il mondo fisico. Tuttavia, oggi mi rendo conto che in questo tipo di pubblicazioni, fatte sulla cresta dell’onda, si possono recuperare tracce di passaggi cancellati dall’accelerazione. Poi certamente, rimane il fatto che cristallizzano alcune terminologie che nel tempo hanno necessità di cambiare. Per quanto riguarda mercato e archiviazione gli artisti hanno sempre cercato e trovato sistemi di vendita e di certificazione. Oggi proseguono le questioni che si ponevano allora, nonostante il fenomeno NFT abbia risucchiato nel suo vortice più di vent’anni di storia e di ricerca sulla e dell’arte digitale che non c’entra nulla con quella battuta all’asta a cifre da capogiro. Come è sempre successo, gli artisti si stanno muovendo per costruire lentamente un contro-mercato dove la vendita con certificazione NFT possa generare diffusione e circolazione di lavori di arte digitale a prezzi accessibili e attraverso mostre curate (vedi, per esempio, il progetto Feral Files di Casey Reas).
GC: Il tuo interesse per approcci transdisciplinari ha ampliato gli ambiti della tua ricerca fino ad arrivare alla nanoarte o alla bioarte. Questa indagine è confluita nel libro “Mind the gap” (Postmedia books, 2020). Quali assi portanti hanno strutturato il collegamento della pratica artistica nel campo della biologia, ecologia e delle tecnologie applicate alla ricerca scientifica?
EGR: Sono state le ricerche degli artisti a portarmi all’interno di altri ambiti e discipline come la biologia e l’ecologia. Sono loro che hanno tracciato il percorso. Il lavoro pratico e teorico di Eduardo Kac, per esempio, conosciuto nel mondo per il suo coniglio transgenico fluorescente Alba (GFP Bunny, 2001), trova radici nel linguaggio, dalla poesia alla telematica, ad ogni tipologia di aspetto dialogico che si instaura tra specie diverse. Il lavoro con la nano-scienza di Victoria Vesna, prosegue la ricerca incentrata sul rapporto tra corpo e dati. Nel corso del tempo ho approfondito questi ambiti, come bioarte, nano arte, arte ecologica nella loro specificità. La continuità tra loro e con il tutto è diventata chiara solo in un secondo momento. Probabilmente è un passaggio fisiologico così come lo è sentire la necessità di ricorrere a terminologie e categorizzazioni.
GC: La questione ecologica è un tema centrale sia nelle pratiche artistiche che curatoriali. Istituzioni culturali e ricerche scientifiche come possono trovare un terreno comune su cui operare per ristabilire un equilibrio ecologico sia a livello ambientale che sociale?
EGR: Mi sono interessata molto ad una ricerca personale sull’ecologia. Il primo articolo su arte e clima era uscito sulla rivista “Cura” molti anni fa. Ma la continuazione di questa ricerca la devo tutta al prof. Pier Luigi Capucci che mi ha coinvolto diverse volte nel suo art*science: arte e cambiamenti climatici, progetto triennale di mostre, eventi e pubblicazioni, avviato quando ancora questi argomenti non erano al centro di tutto.
Di ecologia si occupa molto il progetto GAME OVER. Future C(o)ulture ideato e promosso da Anita Calà con l’associazione VILLAM e realizzato con me e Arshake e con le moltissime persone che nel tempo si stanno aggiungendo al progetto, immaginato come un grande organismo in crescita che muta con le idee e progetti che portano le persone. GAME OVER guarda al tema ecologico fattivamente includendo le tecnologie e il progresso scientifico, cercando di ristabilire un equilibrio tra quella che nell’antica concezione consideravamo come ‘natura’, e i suoi nuovi sconfinamenti.
La terra e il terreno, quello di Quinto Sapore, l’azienda dove Alessandro Giuggioli porta avanti da anni le sue ricerche sulle antiche tecniche di coltivazione e custodisce semi antichi per il CNR di Perugia, è l’inizio del percorso. I giovani ricercatori invitati in residenza (da ambiti disciplinari diversi, come biologia, robotica, AI… ) proseguiranno le loro ricerche ritrovando contatto con la terra. E’ possibile che alcuni di loro saranno impegnati in lavori che si relazionano direttamente con l’agricoltura.
Siamo convinti –con noi lo sono anche molti professionisti che vengono dal mondo della scienza – che per affrontare la questione ecologica si deve partire dalla riconquista della consapevolezza, dalla formazione, dalla contaminazione (vera e non raccontata). Questo può avvenire solo gradualmente, nel tempo, e mettendo a confronto generazioni diverse. Le figure junior saranno seguite fianco a fianco da colleghi di altre discipline e avvieranno una catena di relazioni che crescerà nel tempo e si farà spazio in ambiti e discipline diverse per restituire tutto questo al territorio, quello di Città della Pieve dove nasce e quello dei territori dove il progetto si adatterà con modelli replicabili, attenti anche alla comunicazione tra campagna e città.
GC: “Arshake” è un ulteriore contesto che sperimenta sul campo una ricerca transdisciplinare e trasversale: come tratti la relazione tra arte e tecnologia all’interno di questa bottega virtuale? Quali sono le metodologie con le quali cerchi di mantenere un equilibrio tra i vari opposti presi in esame, come appunto la rete e il mondo, la tecnologia e l’espressione artistica, il passato e il futuro?
EGR: Arshake si pone come spazio connettore e fluido attraversato dalla tecnologia e dal mondo non in contrapposizione, piuttosto accomunati da aspetti diversi di un unico eco-sistema. Nei primi anni di vita della piattaforma con grande piacere eravamo avvicinati da autori e artisti provenienti da altre discipline, danza scenografia, scienza e molto altro. La connessione tra le varie discipline è emersa in maniera del tutto naturale.
Oggi si parla molto di trans-disciplinarietà, di ibridazione, di coesistenza tra organico e inorganico. Vent’anni fa questi argomenti non esistevano nel parlare comune. La stessa Arshake, che nasceva come contenitore liquido per accogliere esperienze diverse sotto uno stesso comun denominatore, era considerata come un prodotto di nicchia, un po’ fuori dalla realtà e dal sistema. Ibridazione e cross-contaminazione sono termini entrati molto recentemente nel linguaggio comune, ripetuti con così tanta insistenza ed efficacia da esser diventati in qualche misura consumati. La difficoltà di oggi è riprendere le fila di un processo che si evolve da sempre nonostante sembri essere esploso improvvisamente. Questa sorta di allucinazione si reitera continuamente, ora con gli NFT che generano discussioni su arte digitale come se fosse una novità.
Qui si inserisce il discorso tra passato e presente. Il fatto di dare spazio al passato (sulla piattaforma esiste una sezione dedicata alle news dal passato) è proprio per ricostruire una continuità delle ricerche e della storia, per riportare alla luce fatti ‘antichi’ che sono ancora attuali e spiegano alcuni passaggi che si rivelano anelli importanti della storia nella sua continuità. In generale Arshake non si occupa nello specifico di new media art, di arte e tecnologia, o di arte e scienza. Si certamente hanno sempre avuto, e hanno tutt’ora, grande spazio. Arshake guarda al mondo attraverso lo sguardo di tecnologia e tecnica, e nelle tecniche sono incluse anche quelle analogiche. Questo è l’approccio di partenza, il resto ha preso forma molto spontaneamente.
GC: Arshake propone l’archiviazione online di una serie di materiali testuali e audiovisivi, come viene gestito tutto questo materiale prodotto dal lavoro redazionale? Ci sono esperienze di pubblicazioni cartacee o la volontà di pensare anche a nuove modalità, magari virtuali, di presentazione di un archivio?
EGR: Alla radice di Arshake c’è sempre stata l’idea di archivio come ecosistema dove lavori, informazione e approfondimenti, così come i lavori realizzati sul banner, abitassero uno stesso spazio e si contaminassero. Il lavoro dell’archivio è un lavoro che avvieremo a breve, e si stiamo proprio pensando di realizzare una pubblicazione anche lei ibrida, tra carta e online. Il libro cartaceo funzionerà da indice e porta di accesso per i contenuti online.
GC: Sempre nella cornice di Arshake le iniziative “Banner Video Post” e “Frame” mettono al centro l’espressione artistica e la collaborazione con diversi artisti. Come è organizzata la selezione e la pubblicazione di questi contenuti multimediali? Come dialogano con gli altri contenuti presenti nella piattaforma?
EGR: I lavori sul banner sono nati in maniera molto spontanea nel dialogo con gli artisti. Gli artisti invitati sono liberi di estendere il loro lavoro sperimentando lo spazio. Alcuni sono nativi digitali, altri hanno accettato la sfida di traslare un lavoro tutto fisico nello spazio elastico del banner. Penso per esempio, a Girolamo Marri e al suo Jelly Ghosts (2014) che ha portato la sua performance all’interno dello schermo con 88 video e altrettante situazioni che si manifestavano dal nulla ogni volta che si aggiornava la pagina. O anche a Cristina Elias con il suo One Minute Diary (2014) che ha traslato il suo lavoro con corpo e danza all’interno del video e nello spazio temporale di un minuto. Con For a Forthcoming reality, 2020, curata da Gianpaolo Cacciottolo, Antonio della Guardia ha abitato il banner di Arshake con un disegno animato dove una serie di esercizi formulati da William Horatio Bates nella prima decade del XX secolo sono adattati al tempo moderno per riconquistare la vista dopo tante ore di lavoro online. Il lavoro di Luigi Pagliarini, Energies Visualizers, porta il suo lavoro con neuroscienza e Intelligenza Artificiale sul piano bidimensionale per sper imentare le forze della materia digitale.
Ciascun artista entra in dialogo con Cristian Rizzuti, direttore artistico, ideatore del logo e costola di Arshake. Fin dall’inizio si parla assieme del progetto e ogni volta che si arriva al momento della pubblicazione si presenta sempre qualche sfida o sorpresa.
Ogni volta le situazioni sono diverse, ogni volta inaspettate. Tutto è chiaro solo dopo il lancio del lavoro, esattamente come era capitato per la stessa piattaforma di Arshake che ha galleggiato online per almeno sette mesi fino a quando non ci siamo convinti di saltare il fosso e pubblicarla. Nell’arco delle due settimane successive il progetto è cambiato moltissimo, con l’indispensabile contributo dei consigli visionari di Antonello Tolve, direttore con Stefania Zuliani della sezione Critical Grounds – nata dal desiderio di mettere in rete libri di pregio e di interesse culturale in formato open source. Da lì abbiamo capito che qualsiasi cosa, anche la più semplice e lineare, prende vita quando si affaccia online e inizia ad interagire con gli utenti.
GC: La situazione pandemica, da emergenziale a quasi oramai costitutiva, ha influito sulla direzione di Arshake? Quali modifiche e a quali considerazioni ha portato? È stato cioè un motore verso nuove soluzioni di direzione o diversi gradi di interazione con gli utenti?
EGR: La pandemia ci ha fatto molto riflettere. Non appena tutto il mondo si è riversato online ci siamo interrogati su Arshake, sugli spazi virtuali, sul senso del nostro lavoro. Non è stato affatto facile. Per certi aspetti non lo è tutt’ora. Dopo pochi mesi di vita online tutto ci sembrava ‘vecchio’. Anche il nascere di nuove piattaforme, la diffusione di questi argomenti trattati in diverse riviste ci ha fatto ripensare al nostro ruolo. Non siamo in competizione. Abbiamo funzionato da spazio che poteva ospitare in un grande archivio pensieri, informazioni, e lavori di chi in questo spazio si è riconosciuto. Ora forse il passo successivo potrebbe essere creare una rete e una costellazione di spazi affini. In realtà questo discorso noi lo abbiamo sempre portato avanti, ed è parte dell’approccio metodologico di Arshake. Spesso abbiamo ripubblicato articoli tradotti da inglese ad italiano o viceversa e rilanciato le loro fonti. Puntare più su questo aspetto potrebbe essere un passo importante di una possibile futura evoluzione.
In ogni caso la riflessione aperta durante la pandemia è ancora in corso. Però un cambiamento c’è stato e anche questo è avvenuto in un modo veramente naturale e me ne sono resa conto poco tempo fa. Sempre di più abbiamo ricevuto richieste di partnership per progetti di ricerca, pubblicazioni a lungo termine, come «Il Corpo eterno. I sensi umani come laboratorio del potere, fra crisi ecologica e trans umanesimo» di Elena Giulia Abbiatici, progetto sostenuto dall’Italian Council (IX edizione 2020), la serie di interviste di Kisito Assangni sulla “curatela come storia fenomenologica della quotidianità”, il progetto che sosteniamo come partner da quattro anni con Romaeuropa Festival e Accademia di Roma, o la stessa sezione GAME OVER che abbiamo avviato nel 2020 con una serie di interviste realizzata nel periodo di pandemia e nell’arco di un anno come ricerca preliminare del progetto (Loading). Un po’ come il discorso della continuità delle discipline, mentre riflettevamo sull’esistenza di Arshake, la piattaforma aveva già deciso il suo proseguimento, almeno uno di tanti possibili. Questi progetti raccontano la necessità di ricerca, ma anche di gradualità. Pubblicare ricerche a puntate permette di ritrovare un contatto con il lettore nel corso della ricerca, un dialogo in differita di cui potrebbe beneficiare la ricerca e la ricchezza che questa produrrà di ritorno.
VIDEO POST e FRAME sono due sezioni curate da Cristian Rizzuti. Lavoriamo a distanza e, al di là di quelle che queste sezioni significano per la ricerca – per noi sono due importantissimi spazi che comunicano in maniera più esclusivamente visiva – le sue scelte di queste due sezioni costruiscono una sorta di dialogo tra noi, senza dire che molto spesso rispondono a ricerche in corso quasi per telepatia.
GC: Nella tua esperienza di docente di Net Art e teoria delle arti multimediali hai un punto di osservazione privilegiato rispetto agli interessi degli studenti e quindi, generalizzando, su una generazione di artisti. Quali sono gli aspetti più significativi, sia di rottura che di continuità nelle pratiche degli studenti?
EGR: La primissima lezione che ho tenuto in Accademia, nove anni fa, ho scoperto che ragazzi nati nel mondo digitale non avevano nessuna idea che la tecnologia avesse avuto, e potesse avere, un risvolto creativo. Questa è la prima di tantissime cose che ogni anno mi colgono di sorpresa. Ogni cosa che io ho dato per scontato che a loro piacesse o che loro conoscessero si rivelava il contrario. Ogni anno scopro qualcosa di nuovo. Credo che in questo momento ci troviamo di fronte ad una generazione che potrebbe essere di rottura. Ancora è tutto da mettere a fuoco.
Questi anni di pandemia sono stati molto difficili per l’insegnamento. Difficile è stabilire un contatto online (lasciando sottinteso che è stata una grande opportunità per poter proseguire il lavoro). Ancora più difficile è conoscerli e capire dove sta andando la loro ricerca. Mi auguro che questo accadrà dopo, ora che torniamo ad avere un contatto fisico. Nonostante questo, anche in questo frangente di ‘oscurità’, quando ancora non siamo in grado di vedere con occhio esterno e lucido, ci sono state diverse cose che mi hanno letteralmente stupito.
Durante il primo lockdown, l’esperienza di insegnamento online è iniziata come traumatica. Poi ho chiesto loro, per chi lo avesse voluto fare, di scrivere un diario che potesse collegare la loro esperienza di vita, anche in termini di spazio e di tempo legati al lockdown, con ciò di cui stavamo parlando. E’ venuto spontaneo iniziare con lavori che si addentravano nel mondo della nano-scienza e della biologia molecolare per rivelare quanto di invisibile ci circonda. Sono temi molto attuali. Poche persone intervenivano durante la lezione. Ricordo di aver chiuso il computer nell’ultima lezione con una grande frustrazione, un enorme senso di vuoto e di sconfitta. Quando è venuto il momento degli esami ho ricevuto dei diari bellissimi. Ciascuno di loro aveva utilizzato lo strumento che al meglio lo ispirava. Con mia sorpresa, molti di loro hanno sperimentato con i materiali, chi ha fatto un diario correlato di testo e polaroid scegliendo di utilizzare la matita, chi ha utilizzato l’illustrazione, chi la forma tradizionale di diario con testo e fotografie. Tutti hanno messo nel diario sé stessi, tanto nei contenuti che nelle modalità. Ho capito che una modalità di contatto nel rapporto online può esistere coltivando quello spazio e quel tempo che intercorre tra un incontro online e l’altro.
Elena Giulia Rossi è nata e vive a Roma. La sua ricerca nell’arte contemporanea l’ha condotta in ambiti trasversali e transdisciplinari, al crocevia tra biologia, tecnologia e scienza. In questi percorsi si sono intrecciate le sue esperienze lavorative, tra pratica e teoria, con musei, gallerie, riviste e quotidiani, con la piattaforma online Arshake (www.arshake.com) e con l’attività didattica presso l’Accademia di Belle Arti di Roma dove insegna net art e teoria delle arti multimediali. È autrice di Archeonet. Viaggio nella storia della net/web art e suo ingresso nei musei tradizionali (Lalli Editore, Siena 2003) e di Mind the Gap. La vita tra bioarte, arte ecologica e post internet (postmedia, Milano, in corso di pubblicazione 2020).
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24/02/2022