ELENA AYA BUNDURAKIS
Metronom: Eating Magma (2017-in corso) è un progetto complesso e sfaccettato che esplora il concetto di identità di un organismo vivente in un mondo che si disintegra e si rigenera costantemente e rapidamente. Nella tua pratica spesso combini installazioni ambientali, disegni, video e haiku in associazioni insolite per dare vita visibile alla tua immaginazione e realtà: cosa ti ispira a creare queste narrazioni oniriche?
Elena Aya Bundurakis: Non sono necessariamente narrazioni, le penso piuttosto come pezzi di varie sensazioni di un organismo vivente, che desidera essere messo in scena e dare prova di vitalità. Osservando il modo in cui il corpo fisico collettivo appare e si sente, la complessità nel suo accumulo ma anche i suoi modi incorporati di muoversi, esistere e sperimentare nel mondo circostante…lo trovo molto commovente. Il pensiero di essere una minuscola particella del corpo collettivo, della mia esperienza di esemplare umano che interagisce in mondi guidato da dati e avere così tanti altri corpi (umani / non umani) intorno a me per andare avanti insieme, sembra…soffocante, incoraggiante, disgustoso, stimolante. Tutti questi sentimenti diversi ispirano e alla fine sono il lavoro.
M: Nella tua serie Looking for Summer in the Middle of My Adulthood (2015-in corso), rivisiti il tuo archivio fotografico di famiglia dialogando con immagini create appositamente per confrontarti con il tuo passato e te stessa. Qual è il ruolo della macchina fotografica in questo processo di autoindagine e auto-storytelling?
EAB: Fare autoindagine guardando alle proprie radici è come immergersi in un oscuro lago senza fondo: nessun percorso specifico da seguire e nessun finale previsto, ma puoi comprenderti meglio ascoltando le tue paure mentre ti immergi. La fotocamera è uno strumento per aiutare l’immersione, è il tessuto connettivo tra i miei pensieri e l’ambiente che fotografo nel momento, l’adesso.
M: Usi spesso la fotocamera come un dispositivo tattile, invece che uno strumento tecnologico, e nel tuo ultimo lavoro in corso Wip (2020-2021), il tuo interesse per la trasmissione di sensazioni e consistenze supera ogni altra preoccupazione. Puoi dirci qualcosa di più su questo progetto e su questa urgenza di trasmettere sentimenti piuttosto che concetti?
EAB: Come per il mio lavoro precedente, mi piace l’idea di iniziare e successivamente espandere un lavoro, concentrandomi su una sensazione specifica che ho avuto modo di provare ad un certo punto. Sono sempre partita da sensazioni simili, che nel processo hanno iniziato ad articolarsi in parole o significati esplicativi, che all’inizio sembravano indescrivibili. In questo progetto alcuni concetti che mi intrigano sono ad esempio come ci si sente e cosa significa essere esistiti nel grembo di tua nonna. Il pensiero che una parte di noi è stata nei corpi delle nostre nonne, dal momento che tutti gli ovuli di nostra madre sono stati creati mentre lei era un embrione nel ventre di sua madre. Quindi è possibile che portiamo con noi nel nostro corpo lo stress e i sogni delle nostre nonne?
M: Sei nata a Creta da una famiglia greco-giapponese e vivi tra Creta e Corfù. Come queste culture si combinano nel tuo processo creativo e come queste influenze influenzano la tua arte?
EAB: Ho trascorso 3 anni in Belgio, dove ho anche studiato alla Royal Academy of Fine Arts di Anversa. È stato sicuramente un momento formativo, perché mi ha fornito uno spazio diverso, lontano dalle mie esperienze fino ad allora. Anche il lavoro nell’ambiente dell’Accademia è stato una parte importante. Si dice così tanto sul fatto che l’ambiente accademico sia anacronistico o addirittura limitante a volte, ma per me è stato molto utile. Sebbene non fossi particolarmente comunicativa o non cercassi attivamente supporto, sapere che i miei amici e insegnanti erano lì se ne avessi avuto bisogno, era una sensazione preziosa. In questo momento sono tornata a Creta, ma trascorro anche del tempo nell’isola di Corfù per un nuovo spazio progettuale che stiamo sviluppando lì.
Crescere in una casa greca e giapponese è stato un po’ un mix disordinato ma anche divertente e colorato. Ci sono stereotipi culturali che tendiamo ad assumere, ma le persone possono essere di per sé, così diverse da come immaginiamo che siano. Immagino che oltre alle culture, questo riguardi anche le persone con cui cresciamo e che inconsciamente formano i nostri processi cognitivi. Mia madre, ad esempio, era una donna giapponese che ha viaggiato per il mondo con la sua migliore amica e ha deciso di sposare un uomo greco alla fine degli anni ’70 in un paese che era appena uscito dalla dittatura militare, nonostante la sua famiglia non sostenesse la sua scelta. Quindi non si adattava agli stereotipi subordinati razziali di una donna asiatica che molte persone purtroppo tendono ad avere nella loro mente, ancora oggi.
Elena Aya Bundurakis (Creta, 1988) è un’artista greco-giapponese, che lavora tra Corfù e Creta.
Laureata in fotografia presso la Royal Academy of Fine Arts di Anversa, nel suo lavoro combina diversi media, come fotografia, disegno, video e poesia haiku. Bundurakis concepisce allestimenti specifici e combinazioni inusuali, sviluppati sia in progetti editoriali che in installazioni ambientali. Tra le mostre recenti: Generation Z, Noorderlicht festival, Groningen (2020); Nature in Play, Metronom Gallery, Modena (2020); Hate Speech, Aggression und Intimitat, Km Kunstlerhaus, Graz, AU (2019); Currents #6: Good Intentions, Marres Maastricht, BE (2019); Bring Your Photobook, L’Image sans nom & Galerie Wégimont, Liegi, BE (2019); Blurring the Lines, Paris College of Arts, Parigi (2018); COOK IT BAKE IT or FORGET IT!, Zuiderpershuis, Anversa, BE (2018); PPLATS #1, Photographic Centre Peri, Turku, FI (2018).
Cover images from the series Eating Magma (2017 – in progress)
26/04/2021