portrait

DOMENICO DE CHIRICO

Generazione Critica: Qual è stata la tua formazione e quali sono state le esperienze significative agli esordi della tua carriera? Hai avuto e hai modelli di riferimento nella pratica e nella ricerca? 

Domenico de Chirico: La mia formazione si è sgomitolata nel corso degli anni attraverso un percorso di studi fortemente sentito, dedito alle cosiddette humanae litterae: partendo dal liceo classico, mi sono poi laureato in Lingue e Letterature Straniere, con un focus speciale sulle lingue e culture dell’Europa dell’Est, con una tesi di laurea sperimentale in Storia Comparata dell’Arte dei Paesi Europei, scritta in tre lingue, sviluppata a partire dal lavoro sagace, essenziale e memorabile dell’artista Dan Perjovschi.
Nulla di particolarmente prevedibile. Detto ciò, ho certamente avuto la fortuna di iniziare il mio percorso da curatore indipendente sotto l’egida di galleristi del calibro di Mihai Nicodim e Philippe Valentin. In quanto a pratica e ricerca, ab illo tempore, mi sono affidato, e probabilmente non smetterò mai di farlo, al mio istinto, al mio gusto personale, alla mia sete di scoperta, alla necessità di essere continuamente stimolato, alla dedizione, all’attenzione, all’ascolto e alla disciplina. Evitando l’egotismo. 

What is a Bird? We simply Don’t Know, 2015, curated by Domenico De Chirico, installation view at Nicodim Gallery, Bucarest, Courtesy the gallery

What is a Bird? We simply Don’t Know, 2015, curated by Domenico de Chirico, installation view at Nicodim Gallery, Bucarest, Courtesy the gallery

GC: La tendenza nella comunicazione di mostre ma anche istituzionale di musei o enti in generale è quella di stimolare una dimensione partecipativa che si attua sempre più attraverso le piattaforme di social network che del web. Che tipo di approccio e di stile ti piace o ti diverte adottare e quanto agisci come ‘content creator’ e curatore?

DDC: Tra scienza avanzata, divulgazione scientifica e tecnologie futuristiche, anche i canali di sponsorizzazione aumentano sempre più, trasformandosi repentinamente, a seconda delle esigenze e delle intuizioni vigenti. In questo momento costituiscono sicuramente un canale di informazione assai veloce che sovente, ahimè, non richiede particolari sforzi né di lettura né di attenzione in generale, consentendo di raggiungere celermente una quantità illimitata di possibili fruitori. Personalmente, mi limito semplicemente a condividere con gioia tutto ciò che mi coinvolge, professionalmente parlando, su quelli che sono i miei canali personali, mi riferisco ai social network. Per quanto riguarda le riviste e i contenitori online di settore, lascio che sia chi di dovere a farlo. 

GC: La circolazione digitale delle immagini e il mercato dell’arte, la questione della duplicabilità è qualcosa che impatta nella percezione del collezionismo e del pubblico? In questo senso gli NFT forniscono opportunità di strutturare il mercato dell’arte con dinamiche diverse rispetto a quelle consolidate o la questione della unicità e quindi della non disponibilità sono parte anche di questo marketplace?

DDC: La nostra società, evidentemente di stampo debordiano, lussata, sempre più bisognosa e acutamente labile, si basa, a mio avviso, sull’importanza dell’immagine volta a creare un’alterazione della realtà e a giustificare rapporti sociali diversificati, auspicabilmente col fine ultimo di aprire le menti verso nuove e inopinate prospettive all’interno della realtà stessa. Detto ciò, credo che la corresponsabilità di “vecchio” e “nuovo” sia di fondamentale importanza perché è bene non cancellare o dimenticarsi di ciò che è stato, privilegiando, oltretutto, ciò che non sappiamo come sarà e dove approderà poiché, probabilmente, è proprio questo che ci ha condotti allo stato attuale delle cose. Sicuramente, talvolta, e mi riferisco in particolare agli NFT, oggi le due strade si intersecano. Personalmente, voto per l’unicità, quella autentica. Tuttavia, non disdegno, anzi, quelle nuove ramificazioni dell’arte di cui oggi tutti quanti noi parliamo perché profondamente affascinati o semplicemente incuriositi, spesso però senza poter né vedere né toccare. 

You Will Find Me if You Want Me in the Garden, 2015, curated by Domenico De Chirico, installation view at Valentin Gallery, Paris, courtesy the artist and Valentin

You Will Find Me if You Want Me in the Garden, 2015, curated by Domenico de Chirico, installation view at Galerie Chez Valentin, Paris, courtesy the artist and Valentin

GC: Il confronto con la dimensione digitale, gli NFT, le mostre online ecc. diventa ancor più complesso se si considera il contesto della pittura contemporanea. Come curatore spesso hai lavorato a mostre collettive o personali interamente dedicate alla pittura e nella tua carriera hai fatto anche esperienze di progettazione e realizzazione di mostre online. Secondo quali criteri porti avanti la tua ricerca e la selezione tra le diverse espressioni pittoriche contestualmente alla digitalizzazione in corso nell’ambito dell’arte contemporanea? 

DDC: Le mostre online sono state sicuramente una necessità imprescindibile di vita e di espressione durante la lunga e singhiozzante quarantena impostaci durante i primi due anni dacché il COVID-19 ci ha allietati con la sua piacevolissima presenza, momento fortemente caratterizzato da uno stadio vitale vacillante tra timore e accidia, in cui null’altro era consentito. La fisicità prima di tutto. Per il resto, credo di aver già risposto precedentemente. Vorrei solo sottolineare la mia totale apertura nei riguardi di ciascun medium artistico senza negare una particolare tensione sia estetica sia sensibile verso la pittura. 

I Dreamed a Dream - Chapter 2, curated by Domenico De Chirico, Installation view at Marignana Arte, Venice, Italy © Silvia Longhi, all images courtesy of the artists and Marignana Arte

I Dreamed a Dream – Chapter 2, curated by Domenico de Chirico, Installation view at Marignana Arte, Venice, Italy © Silvia Longhi, all images courtesy of the artists and Marignana Arte

GC: “I Dreamed a Dream” (2020) e “L’heure bleue” (2020) sono entrambe due mostre concepite a capitoli. È interessante questo approccio che rende possibile la continuazione di un progetto curatoriale che non si esaurisca in un unico evento o intervento ma che si sviluppa nel tempo con una successione di episodi legati tra loro, quasi una serie tv che si costruisce intorno allo storytelling. Come gestisci questi progetti e come cerchi di mantenere una continuità tra un capitolo e l’altro? Inoltre come influisce la struttura di progetti di questo tipo sulla scelta delle opere e degli artisti? 

DDC: Le mostre suddivise in capitoli fanno riferimento ad un’unica matrice che innegabilmente funge da linea guida. Probabilmente è una questione di spiccato interesse verso l’argomento scelto e che si vuole scandagliare, andando a fondo, attraverso un’attività curatoriale specifica. Probabilmente, laddove vi è stimolo non ci sono limiti oppure ci sono infinite possibilità di interazione. 

Tanning’s Touch, 2022, curated by Domenico De Chirico, Installation View at Belenius Gallery, Stockholm, Sweden. All images copyright and courtesy of the artist, Belenius, Stockholm, Hunt Kastner Gallery, Galerie Eva Presenhuber, Gallery Piktogram, Galeria Madragoa and Gallery Kraupa-Tuskany Zeidler

Tanning’s Touch, 2022, curated by Domenico de Chirico, Installation View at Belenius Gallery, Stockholm, Sweden. All images copyright and courtesy of the artist, Belenius, Stockholm, Hunt Kastner Gallery, Galerie Eva Presenhuber, Gallery Piktogram, Galeria Madragoa and Gallery Kraupa-Tuskany Zeidler

GC: Guardando alle tue esperienze curatoriali spesso ritornano concetti o riferimenti che gravitano intorno ai temi dell’onirico e del surreale: hai appena inaugurato “Tanning’s Touch” (2022) presso la galleria Belenius a Stoccolma in cui citi direttamente Luis Buñuel, oppure nella collettiva “Le domaine enchanté” (2016) presso Acappella a Napoli fai diretto riferimento alla pittura surrealista. In vista di queste esperienze personali e delle tendenze correnti, la tematica del surrealismo e dell’onirico sembra diventare quanto mai necessaria e ricercata sia dall’artista che dal curatore. Anche alla luce della scelta curatoriale della Biennale di Venezia con la mostra “Il latte dei sogni”, come può questa tematica considerarsi contemporanea e come influenza anche le tue scelte? 

DDC: Tutti questi aspetti probabilmente possono essere racchiusi in ciò che James Joyce, Virginia Woolf, Italo Svevo, tra gli altri, chiamavano “The stream of consciousness”: tecnica, principalmente letteraria, che consiste nel riprodurre il libero flusso di pensieri, sentimenti, passioni e sensazioni, così come compaiono nella mente, prima di essere riorganizzati secondo una logica prestabilita, in cui, attraverso la tecnica del monologo, inteso come momento alto di grande solitudine, emerge in primo piano l’individuo con tutti i suoi conflitti interiori. Può tutto questo non considerarsi una tematica assai attuale?

GC: Rimanendo sempre nei sogni: mostre e progetti su cui hai lavorato ma che non hai ancora avuto modo di realizzare? 

DDC: Svariati sono quelli che ogni giorno immagino ad occhi aperti.

 

19/10/2022

 

L’Heure Bleue, 2020, curated by Domenico De Chirico, Gallery Sofie Van de Verde, PLUS-ONE Gallery, Antwerp; all images copyright and courtesy of the artist and PLUS-ON Gallery

L’Heure Bleue, 2020, curated by Domenico de Chirico, Gallery Sofie Van de Velde, PLUS-ONE Gallery, Antwerp; all images copyright and courtesy of the artist and PLUS-ON Gallery