cassie-mcquater_selfportrait

CASSIE MCQUATER

In occasione dello screening in corso di “Chun-Li” dell’artista Cassie McQuater, per FILTRO, terza edizione di DIGITAL VIDEO WALL a cura di Gemma Fantacci, Generazione Critica ha intervistato l’artista.

Generazione Critica: In un recente articolo per The Architectural Review, Rob Gallagher ha definito uno dei tuoi progetti, Black Room (2017), come un esempio di bricolage autobiografico. In una prospettiva più ampia, la tua pratica artistica può essere descritta come tale, dato che il tuo lavoro incorpora una grande varietà di media, come GIF, riferimenti ai videogiochi, sprites, estetica retrò e così via. Puoi parlarci della tua formazione e approfondire i diversi media che informano la tua arte?

Cassie McQuater: La mia esperienza con i videogiochi è avvenuta grazie a mia nonna, che ci giocava spesso. Soffriva di insonnia e aveva difficoltà a dormire, così quando passavo la notte a casa sua, rimanevo sveglia fino a tardi e la guardavo giocare a Zelda. A casa non mi era permesso avere una mia console, quindi andare dalla nonna era il mio unico accesso ai videogiochi. Ciò ha determinato un legame emotivo ancora più forte, un senso di spazio e  tempo, nel modo in cui guardavo e partecipavo al gioco. Ho frequentato la scuola d’arte e ho conseguito un BFA in pittura, ma tutti i miei dipinti erano ancora incentrati su personaggi, missioni e azioni che si materializzavano con il collage. Nella mia pratica attuale, uso ancora il collage come punto di partenza per la creazione narrativa – sono attratta dalle associazioni che come esseri umani creiamo con oggetti, eventi, manufatti e dal processo di attribuzione di significati che ci lega ad essi, che successivamente usiamo come mezzo per creare paesaggi i emotivi che ci accompagnano nelle nostre vite.

image_6483441-2

GC: Un elemento ricorrente nel tuo lavoro è la sovversione dell’estetica misogina e sciovinista dei picchiaduro arcade. Gli avatar femminili vengono liberati dalle convenzioni e dalle estetiche estremamente sessualizzate e successivamente sono reintrodotti in un tableaux vivant che rompe ogni connessione con il gioco originale. Come identifichi i sistemi videoludici che vuoi dirottare e come riesci a visualizzare gli avatar in una nuova ambientazione?

CM: Spesso inizio con un personaggio che ho incontrato nei videogiochi a cui ho potuto giocare da bambina, e questo perché mi sento legata a quel personaggio in un modo ancora più profondo. Mi piace anche usare soggetti che sono facilmente riconoscibili ed inserirne altri che invece non lo sono. Così, come in un quadro, probabilmente un personaggio estremamente riconoscibile come quello di Chun-Li interagisce con un avversario femminile secondario appartenente a un videogioco meno noto. Ciò dimostra come il sessismo di cui sono vittime questi personaggi vada molto in profondità – non inizia e finisce con i protagonisti, ma si estende fino ai nemici minori e agli altri ostaggi – si tratta di un’implicazione culturale ben più profonda.

Per me è anche importante individuare la provenienza di questi personaggi, per quali console sono stati progettati, in quale anno e da quale publisher sono stati introdotti. In questo modo intendo mostrare come il sessismo iscritto nei personaggi non sia un fenomeno isolato, ed è un punto di partenza per identificare le aziende che sono state (e sono tuttora) complici di questo tipo di rappresentazioni.

GC: La tua pratica artistica è contraddistinta da una forte estetica visiva, che in un certo senso si pone anche come ponte tra periodi artistici molto diversi. Da un lato, ricorda le grottesche delle domus italiane; dall’altro, i fotomontaggi satirici del dadaismo. Un altro tuo lavoro, Angela’s Flood (2020-2021), fa riferimento al pannello centrale del Giardino delle delizie di Bosch (1480-1490) i cui soggetti sono sostituiti da sprites provenienti dai giochi di combattimento arcade collocati in una pagina HTML. Qual è la relazione tra immagini digitali, spazi di gioco e opere d’arte del passato?

CM: Dunque, per me, tutto questo si rifà alla mia ossessione e al mio divertimento per il collage. Scompongo le cose e individuo quegli spazi in cui possono ricongiungersi, e poi cerco di capire quali storie possono nascere da questo processo. Sono molto influenzata anche dalle opere dei pittori surrealisti, come Leonora Carrington e Remedios Varo, e dagli scrittori di fantascienza, come Octavia Butler e Ursula Le Guin. Pertanto, attingo già da queste ispirazioni – non c’è un grande divario tra letteratura, pittura, programmazione e videogiochi per me. Mi piace lavorare in uno spazio percettivo dove le associazioni tra tutti questi elementi convivono tra loro trovando supporto l’uno con l’altro per raccontare una storia. Mi ricorda come funziona la vita reale: è disordinata, non sta in una sola scatola, e le emozioni e i sentimenti che fanno parte del nostro vissuto non sono esattamente lineari e coerenti.

img_2572

GC: Le immagini hanno perso il loro legame fisico con i loro referenti reali, diventando immagini composite, cioè “un assemblaggio di elementi discreti provenienti da momenti e luoghi percettivi diversi all’ interno di un campo visivo unificato” (Williams, 2017). In un’epoca in cui le immagini digitali sono fondamentalmente stringhe di dati e frammenti di informazioni, e in ultima analisi una fonte di denaro, pensi che affronteranno un altro punto di svolta se il Metaverso (come immaginato da Facebook) diventerà davvero realtà?

CM: Penso sia necessario fare una distinzione tra il parlare di immagini digitali come dati e il discutere di questi dati come una fonte di denaro o di potenziale capitale. A mio parere, solo perché un’immagine è digitale, materialmente composta da un flusso magnetico che viene poi reso sui nostri schermi, invece di qualcosa di visibile come la pittura su una tela, non significa che sia intrinsecamente più o meno probabile che venga monetizzata. La monetizzazione dell’immagine avviene al di fuori dell’immagine stessa. Che un’opera d’arte sia valida o meno, un fatto soggettivo in ogni caso, non influisce sul prezzo di vendita. È il capitalismo che lo definisce e che ci indica il valore dell’immagine in base al concetto paradossale di transazione monetaria. Vendiamo già immagini per soldi, una pratica o modalità che esiste da almeno centinaia di anni. Quello che il Metaverso potrebbe cambiare sono invece le modalità della transazione, niente di più. Se tale modalità comporta la combustione di enormi quantità di gas o carburante, come fanno già molte criptovalute, continuerà a distruggere l’ambiente del nostro pianeta ormai compromesso.

GC: Qualche tempo fa, ho partecipato ad un panel incentrato su Twitch, la piattaforma di live streaming, e alcune delle relatrici hanno discusso di come il corpo femminile sia sottoposto anche qui al male gaze e di come le ragazze che giocano live vengano spesso molestate verbalmente. Una di loro ha affermato che, a suo parere, le streamer che decidono consapevolmente di adottare un abbigliamento provocante e sexy stanno in realtà sfruttando le debolezze del pubblico maschile sovvertendo a proprio vantaggio lo sguardo sciovinista capitalizzando sulle visualizzazioni. Ritieni che questo approccio sia sovversivo? Non c’è il rischio di perpetrare ancora questa mentalità tossica?

CM: Lo trovo entusiasmante! L’intenzione, il proposito, è davvero importante. Se qualcuno sta agendo con uno scopo, e a causa di questo si sente più forte, allora sì che si tratta di una vera e propria sovversione. In un certo senso questo mi ricorda il lavoro che faccio con i personaggi femminili e gli sprites – non cambio le loro animazioni, i loro vestiti o le loro azioni, ma piuttosto li rimuovo dal loro precedente contesto/sguardo e permetto loro di vivere al di fuori di esso.

E soprattutto, il rischio di perpetrare questo tipo di mentalità tossica non nasce dalla persona vittima di questa impostazione mentale. È colpa delle persone che molestano verbalmente le donne se questa attitudine viene protratta, e la responsabilità di cambiare questa tendenza ricade su di loro. Le donne stanno solo cercando di sopravvivere in un mondo che non è stato costruito per loro, e qualsiasi cosa le faccia sentire più potenti, in controllo e in grado di resistere e, si spera, di sopravvivere, purché non danneggino nessun altro, è positiva.

image_6483441-1

GC: Il nostro paesaggio mediatico è caratterizzato da filtri e norme visive messe a punto da società tecnologiche milionarie che influenzano il modo in cui ci presentiamo con la scusa di concederci strumenti atti a favorire la nostra libertà di espressione e la creatività. Anche nel nostro stesso gruppo di amici e familiari, ci troviamo sopraffatti da tutta una serie di aspettative a cui noi, in quanto donne, dovremmo obbedire. Siamo nel 2022 e ancora oggi resta in piedi quell’immaginario opprimente associato al gentil sesso e alla donzella in pericolo. Pensi che ci siano azioni ancora più dirompenti che non abbiamo al momento esplorato per cercare di incrinare lo status quo?

CM: Penso che la cosa più importante sia trovare il coraggio di vivere la propria vita esattamente come si vuole, di essere autentici con se stessi. Penso che il capitalismo faccia di tutto per reprimere questa possibilità e ritengo che ci debba essere una rivoluzione sia nella nostra società che nelle nostre idee per rovesciarlo. Può sembrare disfattista o un po’ assurdo, ma è l’unico modo che vedo per andare avanti.

Ho menzionato prima il mio amore per Ursula Le Guin, una delle sue citazioni forse più note da tempo si adatta bene qui: “Viviamo nel capitalismo. Il suo potere sembra ineluttabile. Così come il diritto divino dei re. Qualsiasi potere umano può essere contrastato e stravolto dagli esseri umani”.

 

image_6483441-4

GC: Mi piacerebbe parlare di un altro aspetto della tua pratica, cioè la distribuzione gratuita del tuo lavoro sul web come un modo per ricambiare le comunità online. Puoi approfondire questo aspetto? 

CM: Mi piace mettere a disposizione quanto più possibile del mio lavoro gratuitamente online, poiché gran parte di esso è stato realizzato con risorse che ho trovato gratuitamente su internet. Mi affascina la mentalità open source, l’idea di restituire a coloro che ti hanno aiutato ad arrivare dove sei, e la possibilità che altri possano costruire su ciò che hai messo a disposizione. È qualcosa che cerco di emulare nella mia vita reale e qualcosa che penso sia vitale per la costruzione di comunità concrete nella vita di tutti i giorni, per cui mi sembra corretto che si applichi anche al mio lavoro.

GC: Per finire, hai partecipato alla recente mostra Pieces of Me di Transfer Gallery, una “risposta al fervore collettivo rispetto all’emergente mercato globale degli NFT e alle prospettive distopiche legate al suo sviluppo”, come recita il sito web. Questo mercato è un altro esempio di finanza speculativa tra collezionisti e artisti maschi bianchi. L’argomento è molto delicato da discutere ma, secondo te, per quanto tempo durerà ancora questa bolla e cosa dovrebbe cambiare affinché gli NFT diventino un vero strumento rivoluzionario per cambiare il sistema dell’arte?

CM: Il punto cruciale qui è il termine “rivoluzionario”. Ma non c’è niente di rivoluzionario in un nuovo modo di vendere qualcosa, una nuova moneta che nel migliore dei casi potrebbe rendere un esiguo numero di persone molto più ricche molto rapidamente, e nel caso peggiore contribuirà senza mezzi termini alla distruzione dell’ecosistema del nostro pianeta. Un altro dettaglio importante è che gli NFT stanno semplicemente definendo una *transazione monetaria* in cambio di un servizio o un bene. Non è questo l’aspetto della rivoluzione – questo è solo più capitalismo. La rivoluzione è uguaglianza di reddito, servizi pubblici, sindacalizzazione, aiuto reciproco e cura dell’altro. Gli NFT sconvolgeranno alcuni aspetti della nostra vita quotidiana, ma non sposteranno mai l’ago in modo significativo verso l’uguaglianza di classe. Quindi, chiamatela come volete, io dico, ma non chiamatela rivoluzione.

 

Cassie McQuater è un’artista americana che vive e lavora a Los Angeles, il campo di indagine si trova all’intersezione tra nuovi media e videogiochi. Ha ricevuto il suo BFA in pittura presso la University of Michigan School of Art & Design nel 2009, è un autodidatta nel campo della programmazione e ha iniziato a lavorare con i media interattivi e i videogiochi a partire dal 2013. Recentemente, il suo lavoro è stato presentato in occasione dello Smithsonian American Art Arcade, per New Museum’s First Look: New Art Online, presso numerose gallerie DIY arcade e festival di giochi indipendenti internazionali. Ha vinto diversi premi, tra cui l’Independent Games Festival Nuovo Award 2019, il Rhizome micro-grant for net.art e il Lumen Prize for Art and Technology 2019. Ha inoltre partecipato alle mostre Radical Gaming presso HeK (Basilea, 2021), il Milan Machinima Festival (2020), SAAM ARCADE allo Smithsonian American Art Museum (Washington, 2019), 24/7: A Wake-Up Call for Our Non-Stop World alla Somerset House (Londra, 2019), oltre ad altri eventi internazionali.

 

© Riproduzione riservata Metronom
24/03/2022

 

installazione_1

Cassie McQuater, Chun-Li, installation view Digital Video Wall, METRONOM, Modena IT