CASA DEGLI ARTISTI
Generazione Critica: Casa degli artisti è un centro di residenza, produzione e fruizione d’arte con sede a Milano. La storia del centro è molto antica, nato nel 1909 come luogo in cui ospitare laboratori e atelier, nel corso degli anni ha subito molte modifiche fino a dover essere sgomberato per poi essere riqualificato e ristrutturato. Com’è nato il processo di rinascita di Casa degli artisti e quali sono state le motivazioni fondanti?
Casa degli Artisti: Un primo nucleo dell’attuale team di Casa degli Artisti si è radunato ben prima che uscisse il bando attorno al desiderio e alla volontà di immaginare un progetto per dare una nuova vita a questo luogo straordinario, consapevoli del fatto che era tutt’altro che scontato vincere. La visione per rilanciare la Casa si è dunque formata in condizioni di pura idealità, era un’ipotesi avvincente, un bellissimo sogno. Per un anno ci siamo confrontati, attraverso incontri assidui, scambio di scritti, revisioni continue. Ci abbiamo creduto, e il Comune di Milano ha creduto in noi, premiando il lavoro che avevamo fatto. Quanto alle motivazioni, direi che al fondo di tutto è stato qualcosa di simile a una chiamata, motivata dal desiderio di riuscire a tenere la Casa ancorata alla sua vocazione, e di restituire a Milano un luogo che potesse essere più aperto che mai alla città, e soprattutto a tutti gli artisti. Casa degli Artisti: basta ripetersi il nome di questo luogo e meditarlo, tutto il resto segue come una logica conseguenza.
GC: Casa degli Artisti ha un contatto molto importante con la città di Milano sia attraverso un’offerta di progetti culturali rivolti ad un pubblico il più ampio possibile, sia con l’inclusione di artisti e ricercatori. A queste attività si aggiungono anche una serie di progetti, come per esempio “Sportello Urban Art e Progetto città”, che sono profondamente legati all’urbanistica della città. Come cercate di legarvi alla città di Milano, ai suoi abitanti e agli artisti che la abitano? Durante le fasi di realizzazione di questi progetti che tipo di difficoltà incontrate?
CDA: Fin da subito abbiamo pensato che si dovesse innescare un rapporto di buona reciprocità tra la Casa e la Città, e che la Casa potesse avere un ruolo nella vita pubblica, che l’arte lo possa avere. In un senso alto, non schierato, la Casa è un progetto politico. L’arte è politica perché fa legame, comunità. In questo 2022 abbiamo realizzato insieme a Deloitte un progetto pubblico importante, un concorso per una scultura dedicata a Margherita Hack, che il 12 giugno verrà posata in Largo Richini, davanti all’Università Statale. Questo è un progetto che traccia una direzione che la Casa intende seguire, facendo convergere gli artisti nella Casa per portare fuori il loro lavoro, e renderlo parte della nostra città. Per far sì che l’arte possa prendere parte alla vita della città è fondamentale cercare di intercettare le istanze, i problemi, i vuoti, entrare in risonanza e intonarsi al tempo che viviamo. In questo senso l’arte ha da essere contemporanea. La Casa stessa non è che una cassa di risonanza per le voci degli artisti, con il compito non facile di valorizzarne le differenze, e di comporle polifonicamente, come un grande coro. Questa è la cosa più difficile, per il resto le difficoltà, faticosamente, le risolviamo. Le cose belle sono difficili.
GC: Il team di Casa degli Artisti oltre ad essere numeroso è molto vario ed è composto da figure professionali molto diverse tra loro. Se da una parte questo vi dà la possibilità di poter intrecciare diverse competenze e risorse come riuscite a gestire il coordinamento di così tante visioni ed esperienze diverse?
CDA: Lo gestiamo. Con tante lunghe riunioni, e imparando a considerare l’insieme come prioritario rispetto alle visioni personali, ai gusti personali. È un esercizio di non esibizionismo e di non narcisismo. Nessuno di noi è il curatore della Casa, ma questo ci consente di poter avere di volta in volta curatori diversi insieme agli artisti in residenza, mantenendo la Casa più aperta e sorprendente, e più interessante sia per gli artisti che per il pubblico. In qualche modo l’eterogeneità interna al gruppo di gestione riflette l’ampia varietà che c’è fuori, tanto nel pubblico che negli artisti. La Casa cui cerchiamo di dare nuova vita è un luogo trasversale e allo stesso tempo non generico, ma questa è un’ambizione che non può essere progettata né tanto meno pretesa a parole.
GC: Casa degli Artisti nasce come spazio con una forte vocazione per l’interdisciplinarietà e lo scambio di diverse conoscenze: “12° Atelier” è un progetto in cui questi aspetti riescono a convivere tra loro e generare situazioni di dialogo tra diverse figure professionali. Come intendete portare avanti progetti di questo tipo e quale è stato il riscontro ottenuto?
CDA: Il “12° Atelier” è il prolungamento virtuale degli 11 atelier della Casa, un progetto dedicato alla sperimentazione degli ambienti VR da parte degli artisti e alla ricerca transdisciplinare. Anche in questo caso il coordinamento e lo sviluppo di questo progetto ha comportato la collaborazione con un filosofo che è in prima linea nell’indagine di questi temi, Andrea Pinotti, docente di estetica alla Statale di Milano e principal investigator di un progetto europeo, “AN-ICON”, che insieme al suo team multidisciplinare ha curato e prodotto due residenze, la prima con Luca Pozzi e poi con Emilio Vavarella. Si tratta di un progetto davvero complesso e visionario, che unisce il lavoro artistico a quello filosofico, e non solo, di ricerca. Siamo alle prime esperienze, già estremamente sofisticate, ma il potenziale è ancora tutto da esplorare e imprevedibile. Siamo molto orgogliosi di questa collaborazione e di questo progetto, e convinti che possa essere di grande stimolo per tutti.
GC: Considerando i due anni appena trascorsi e il periodo di forte incertezza in cui tuttora stiamo vivendo, come avete reagito all’emergenza pandemica e come è stato possibile far proseguire i vostri progetti? Quali sono state le modifiche che questa situazione ha causato e come è cambiata l’accoglienza degli artisti in residenza?
CDA: Abbiamo dovuto chiudere tre settimane dopo aver riaperto, è stata una brutta botta d’arresto, abbiamo perso importanti collaborazioni con aziende e molti soldi necessari a far funzionare la costosa macchina che è la Casa. Sono stati due anni di continue interruzioni e questo ha pesato molto sullo svolgersi delle residenze, ma seppure con fatica siamo riusciti a dare tutto ciò che potevamo agli artisti e a fargli realizzare i loro progetti. Ma guardiamo avanti, abbiamo resistito e la Casa si prepara a ricevere nuovi abitanti a breve, con il lancio di una doppia call per curatori e artisti.
GC: Le residenze con artisti nazionali e internazionali, suddivise per categorie, sono il centro vivo di Casa degli Artisti. Come affrontate la selezione dei diversi artisti? Durante il programma di residenza come dialogate con i vostri ospiti? Negli anni avete riscontrato una crescita o sviluppi, anche non calcolati, di queste esperienze?
CDA: Ci sono due porte di accesso per gli artisti alle residenze: su invito e su open call. Questa doppia modalità di ingresso alla Casa è l’unica differenza, ma è una differenza che riguarda solo il modo in cui gli artisti entrano nella Casa, e che una volta dentro non si riverbera in una gerarchia o in una differenza di valore. Al contrario, la ragione di questa differenza sta proprio nella volontà di mettere insieme, di far convivere, artisti più maturi e artisti più giovani. È un modo che abbiamo immaginato per favorire il confronto intergenerazionale, lo scambio di prospettive profondo che può esserci tra artisti al di là delle età. Quello che cerchiamo di fare, per quanto possibile, è di favorire delle condizioni di lavoro, a partire dalla stessa conformazione architettonica degli spazi. Non ci sono le divisioni originarie tra gli atelier, abbiamo pensato a lungo se ripristinarle, ma non è ancora chiaro se siano davvero necessarie. Nel senso che adesso i due piani di studi sono aperti e gli artisti hanno uno spazio assegnato, personale, ma comunicante con gli altri, senza muri, senza la possibilità di chiudersi, di isolarsi del tutto. Pensiamo infatti che alla Casa gli artisti debbano venire per sperimentare qualcosa di diverso da quello che accade in uno studio proprio, personale, che sia questo il senso di lavorare lì e non altrove. Stiamo cercando anche di capire dalle esperienze di residenza degli artisti cosa sia meglio, non c’è una soluzione perfetta per tutti, e dunque la cosa migliore che si può fare è restare flessibili e capaci di trasformarsi e cambiare ancora, e ancora, fare in modo che il metabolismo della Casa sia dinamico.
GC: Casa degli Artisti è pensata anche come luogo di incontro in cui il pubblico può entrare in contatto diretto con gli artisti, stimolando così un dialogo continuo. Come cercate di mantenere il più aperto possibile le residenze, aumentando così lo scambio tra artisti e visitatori? Nella programmazione di laboratori o eventi restitutivi come cercate di includere il pubblico e quindi la città?
CDA: Partiamo sempre dall’architettura della Casa: due piani di studi e un piano terra aperto al pubblico, ogni giorno. Il lavoro realizzato negli studi viene presentato al piano terra, in un avvicendarsi di mostre brevi, proprio per dare la possibilità a tutti gli artisti di presentare il loro lavoro, e al pubblico di trovare contenuti sempre diversi. Poi ci sono anche momenti di studio visit, però bisogna stare attenti a non spettacolarizzare la produzione dell’arte, che invece necessità di una dimensione protetta, non esposta agli sguardi del pubblico prima del tempo. Il dialogo deve avvenire quando si è pronti a parlare e ad ascoltare, quando un lavoro è a un grado sufficiente di definizione da non rischiare di venir frainteso.
GC: Quali sono i progetti futuri su cui state lavorando? E quali invece i progetti che trovano una continuità attraverso nuove forme o modalità di presentazione?
CDA: Intanto c’è un titolo che ci accompagnerà per il prossimo biennio (e magari oltre) che è “Human Nature”. Questo titolo, lungi dall’essere un’affermazione, è una domanda enorme, che investe il rapporto dell’uomo con la natura, con sé stesso e con gli altri. Questa domanda è una spia d’allarme accesa, che indica qualcosa o molto che non sta funzionando senza saper dire esattamente che cosa, il che cosa va compreso, andrà indagato, e pensiamo che gli artisti sappiano essere tra i migliori interpreti delle inquietudini e delle possibilità del tempo che viviamo.
Stiamo lanciando una doppia open call per curatori e artisti, e per questa edizione abbiamo invitato Milovan Farronato come senior curator. Insieme a lui lavoraranno i due curatori che verranno selezionati, dallo stesso Milovan e da membri del nostro comitato scientifico come Alberto Salvadori e Lorand Hegy, insieme ad alcuni membri esterni ma con cui la Casa sta intrecciando un bel dialogo, come Giovanna Amadasi di Hangar Bicocca, o Jolanda Ratti del Museo del 900. A questa giuria si aggiungeranno anche i due curatori selezionati su open call, per scegliere i sei artisti che saranno i prossimi “abitanti” della Casa. Questo format di doppia call per curatori e artisti pensiamo sia una strada interessante da seguire e da ripetere. Vedremo!
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14/04/22