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CARRIE CHEN

Generazione Critica: La tua pratica artistica spazia dall’animazione CGI all’interattività in tempo reale, dalla simulazione di motori di gioco all’installazione. Come si è evoluto nel tempo il tuo approccio ai media digitali e quali sono i temi chiave che guidano la tua ricerca?

Carrie Chen: Mi sono interessata alla CGI e alla simulazione quasi per caso, intorno al 2018. Il mio partner, che all’epoca lavorava nel campo dell’interior design, stava costruendo dei mockup in 3D e li stava analizzando in VR. Vedere quel processo è stato un punto di svolta: ha rivelato che i mezzi digitali sono qualcosa di più di un semplice strumento di visualizzazione, ma un modo piuttosto magico per creare esperienze ed esplorare idee come la presenza. Mentre terminavo la mia laurea in Storia dell’Arte e Psicologia, ho iniziato a esplorare il software 3D e qualcosa è scattato. Il mio lavoro ha iniziato a prendere forma e finalmente ho trovato il tipo di mezzo artistico che cercavo, dove potevo esplorare tutte le idee che avevo sulla memoria, il tempo, la rappresentazione, l’archivio e l’ibridazione… I mezzi digitali spesso si sentono fugaci, e questo è un elemento che trovo davvero poetico, ma ora sto anche cercando di dare loro un peso.

GC: In Temporal Portrait, metti insieme diverse versioni generazionali di te stessa attraverso avatar digitali, modelli di invecchiamento generati dall’intelligenza artificiale e motion capture. Cosa ti ha spinta a esplorare il tempo e l’identità in questo modo e quale è il tuo punto di vista sulla tecnologia come strumento per reinterpretare la storia personale?

CC: Qualche anno fa, mi sono imbattuta in una fotografia di mia madre da bambina, quattro o cinque anni, seduta sulle ginocchia della mia bisnonna. Era la prima volta che vedevo un’immagine di lei a quell’età e la prima volta che vedevo una rappresentazione della mia bisnonna, che non ho mai conosciuto. C’era qualcosa di inquietante in quell’assenza. Gran parte della storia cinese moderna è segnata dalla perdita, con molte storie che sopravvivono solo grazie a ricordi parlati.
Allo stesso tempo, stavo sperimentando i filtri per il viso elaborati dall’intelligenza artificiale che, scattando un selfie, possono trasformarti istantaneamente in un muscoloso giocatore dell’NBA o in un’affascinante star del cinema. Ciò che mi incuriosiva erano i filtri di invecchiamento. Giocando con essi, ho iniziato a notare delle somiglianze con mia madre e con quella rara immagine della mia bisnonna. Mi sono chiesta: e se fossi vissuta in un’altra epoca? Quanto poco sapevo delle donne della mia famiglia prima di me?
È qui che è nato Temporal Portrait. Ho sviluppato un flusso di lavoro per generare versioni invecchiate di me stessa, poi le ho combinate con fotografie d’archivio – immagini di me da bambina, insieme a quelle di mia nonna e della mia bisnonna. È nata l’idea di un ibrido sintetico “ritratto di famiglia + autoritratto”. Vedo questo lavoro come un contenitore per comprendere l’assenza e un tentativo di colmare le lacune in cui la storia, la memoria e il legami di parentela sono stati frammentati.

GC: L’opera presenta un’interazione tra memoria, eredità e incarnazione digitale, mettendo in discussione il modo in cui percepiamo la continuità e la trasformazione del sé. Come vede il rapporto tra la ritrattistica digitale e le nozioni tradizionali di ritrattistica nella storia dell’arte?

CC: Il ritratto è più di una rappresentazione: cattura non solo l’apparenza, ma anche un certo “spirito” o “presenza” plasmato dalla memoria, dalla percezione e dall’immaginazione. La ritrattistica tradizionale cerca di fissare un soggetto nel tempo per affermare l’identità attraverso la permanenza. Il Ritratto temporale, invece, resiste alla fissità. Si sviluppa attraverso avatar sottilmente animati, che esistono in uno stato di flusso, né completamente archiviato né interamente speculativo. Piuttosto che conservare un’immagine singolare, gli avatar qui si spostano, osservano e persistono, sfidando l’idea che un ritratto debba catturare un unico sé definitivo.

GC: Molte esplorazioni contemporanee dell’IA e dell’incarnazione digitale si concentrano sull’idea di “corpo eterno” – potenziato, ibrido o addirittura post-umano. Al contrario, Temporal Portrait adotta un approccio profondamente intimo, abbracciando la naturale progressione dell’invecchiamento e dell’esplorazione di sé. Questa prospettiva è originale e profondamente personale. Questa nozione di vulnerabilità e di scoperta di sé sembra risuonare anche nel tuo lavoro in generale. Potresti spiegare meglio la tua scelta di affrontare l’IA in questo modo e come si allinea con la tua visione artistica?

CC: Come hai sottolineato tu, l’opera non riguarda l’ottimizzazione o una sorta di visione iperreale post-umana. Al contrario, si muove attraverso il tempo in modo umano, abbracciando l’invecchiamento, la fragilità e i vuoti che esistono. A prima vista, l’opera sembra quasi una sorta di ritratto di gruppo di una famiglia matriarcale. Ma poi ci si rende conto che si tratta della stessa persona, della stessa figura che appare ancora e ancora, spostandosi nel tempo. L’intelligenza artificiale per questo lavoro non è stata uno strumento di perfezione, ma di speculazione e di visualizzazione di ciò che era frammentato o addirittura mai registrato.

“Temporal Portrait: Carrie”, 2022. “Poetic Realities”, New Wight Gallery, Los Angeles. Courtesy the artist ©

“Temporal Portrait: Carrie”, 2022. “Poetic Realities”, New Wight Gallery, Los Angeles. Courtesy the artist ©

GC: Le figure di Temporal Portrait coinvolgono lo spettatore con movimenti sottili – respirare, sbattere le palpebre e mantenere il contatto visivo – come gesto di presenza e resistenza. Che ruolo giocano l’incarnazione e la presenza nel suo lavoro, soprattutto in contrasto con la natura spesso disincarnata degli spazi digitali?

CC: Mi interessa creare corpi digitali che si sentano radicati, dando loro una sorta di materialità, anche se esistono all’interno dell’effimero delle simulazioni e della luce proiettata. In Temporal Portrait, il motion capture ha impregnato ogni figura con tracce dei miei movimenti facciali. Sono artificiali, ma la loro presenza è familiare. L’abbigliamento, per esempio: una ragazza con una felpa di GAP, immediatamente riconoscibile come qualcosa della mia infanzia negli anni 2000. Poi un’altra, che indossa una giacca verde militare in stile sovietico con un fiore rosso, replica esatta di quella che indossava mia madre nella fotografia che ho citato prima. Queste scelte non sono arbitrarie, ma diventano un filo conduttore nel tempo, ancorando gli avatar non solo all’astrazione, ma a qualcosa di profondamente personale, quasi tattile. E poi ci sono i momenti di sguardo, in cui gli avatar mantengono collettivamente il contatto visivo con lo spettatore, creando questo inquietante momento di riconoscimento, un sottile riconoscimento tra il reale e l’immaginario.

GC: Come artista che naviga in contesti culturali multipli, in che modo il suo background transdisciplinare influenza la tua esplorazione dell’ibridità e della rappresentazione negli spazi digitali? Come vede Temporal Portrait inserirsi in questo discorso più ampio?

CC: Crescendo tra New York e Shanghai, mi sono mossa attraverso sistemi visivi, linguaggi e storie diverse, un’esperienza che inevitabilmente informa il mio approccio all’ibridazione negli spazi digitali. I media digitali, per loro natura, sono fluidi, stratificati, sempre mutevoli. È uno spazio ideale per esplorare l’identità non come qualcosa di fisso, ma come qualcosa in movimento.
In Temporal Portrait, questa ibridità è incorporata sia nella forma che nel processo. Le figure hanno un’aria familiare, eppure sono costrutti, vasi di memoria, possibilità e ricostruzione. Ma il lavoro va oltre l’io, si occupa della rappresentazione come modo per colmare i legami mancanti tra la storia e il tempo, e di come gli strumenti digitali possano reimmaginare la presenza, i legami di parentela e i vuoti lasciati nella memoria personale e collettiva.

“Temporal Portrait”, Carrie Chen, installation view at Metronom, 2025. Courtesy Metronom ©

“Temporal Portrait”, Carrie Chen, installation view at Metronom, 2025. Courtesy Metronom ©