BOB BICKNELL-KNIGHT
Generazione Critica: La tua attività di artista e di curatore ingloba una molteplicità di media, e negli ultimi anni il tuo focus di indagine si è concentrato molto sul ruolo della tecnologia sulla società odierna e di come riesca a plasmare desideri e necessità delle persone. Puoi raccontarci più nel dettaglio la tua pratica artistica, quali sono state le tue influenze e come tutto questo ha influito anche sulla tua attività di curatore?
Bob Bicknell-Knight: È un piacere parlare con te Gemma, e grazie per avermi invitato a far parte del progetto Digital Video Wall! Molto del mio lavoro si concentra sulle strutture di potere che proliferano online e nell’ambito delle moderne tecnologie, con un particolare interesse per l’automazione del lavoro e l’iperconsumismo. Lavoro principalmente in senso progettuale, o su corpus di lavori basati sulla ricerca, riconducibili generalmente a queste idee e a questi interessi.
Al momento sto realizzando un nuovo lavoro per due mostre personali che si terranno nel 2023 e che esplorano le loot box nei videogiochi, l’inserimento di meccaniche di gioco d’azzardo nelle esperienze virtuali e la gamification delle nostre vite in generale. Nel 2022 ho allestito una mostra personale sugli NPC (Non-Player Characters) nei videogiochi, esaminando le molteplici sfaccettature e le loro vite, bloccate in loop senza fine, come metafora dei confini dell’azione umana in un’esistenza sempre più algoritmica e sorvegliata. Prima di allora, nel 2021, ho allestito alcune mostre personali, una sui cani robotici di Boston Dynamics da una prospettiva archeologica, per chiedermi se le nuove tecnologie delle macchine provocheranno una stratificazione sociale. Una mostra era dedicata allo 0,0001% della società, immaginando cosa fanno i miliardari nel loro tempo libero, e un’altra esplorava il rapporto tra Amazon e i suoi dipendenti umani mentre i magazzini dell’azienda diventano sempre più automatizzati.
Ho allestito queste diverse mostre per dimostrare che, sebbene io lavori con molte idee e concezioni diverse, i temi di cui sopra sono presenti in tutto il percorso, con la mia pratica che cambia e si sviluppa nel corso degli anni come un organismo in costante evoluzione. Almeno, spero che questo sia evidente a chi osserva il mio lavoro!
La mia pratica, nel complesso, è influenzata da quasi tutto ciò con cui interagisco quotidianamente, dai media che consumo alle mie esperienze personali, anche se credo che la maggior parte del mio lavoro sia ispirato dal pessimismo e dalla costante paura che provo per la deriva estrema del presente e il futuro prossimo, quello mio personale e quello del pianeta, per il modo in cui le aziende e i super ricchi stanno sfruttando gli altri, anteponendo i profitti alle persone e distruggendo il pianeta nel processo. Per questo motivo, molte delle mie opere sono intrinsecamente negative, e si riferiscono a idee, industrie e individui che mortificano le persone o che le sfruttano di proposito per ottenere guadagni monetari. A parte queste influenze negative, mi piace giocare ai videogiochi indie con l* mi* partner, guardare la TV e andare alle mostre d’arte che vale la pena visitare fisicamente.
L’aspetto curatoriale della mia pratica alimenta il mio lavoro personale e viceversa, con entrambe le componenti che informano e ispirano in modo fluido l’altra. In passato ho organizzato mostre e curato libri su molti argomenti diversi, dalle modalità contemporanee di sorveglianza alle fake news e alla cultura dei videogiochi. Parlare e lavorare con gli artisti nell’ambito del mio ruolo di curatore ha sempre influenzato in qualche misura la mia pratica personale, sia che si tratti di perseguire una nuova ricerca o di un semplice cambiamento estetico. Man mano che cresco come artista, imparando di più sull’industria e sulle pratiche di lavoro, anche il modo in cui collaboro con gli artisti è cambiato. Negli ultimi anni ho ridimensionato la parte curatoriale della mia pratica, concentrandomi invece su mostre più piccole e lavorando con gli artisti attraverso la piattaforma solo quando i fondi sono disponibili, pagando gli artisti per il loro tempo e il loro lavoro.
GC: Come tu stesso l’hai definito, Sleep Made Simple si compone di una serie di sette video che «funzionano come una successione di pubblicità per una società fittizia senza nome che promuove il benessere e la meditazione, preannunciando il futuro del capitalismo, della sanità digitale e della sorveglianza». L’estetica è quella delle infografiche che spesso si trovano anche nei flyer delle offerte aziendali, come quelle delle banche – qualche anno fa ho lavorato in una società di gestione del risparmio e andavano matti per questo genere di estetica! – e la voce narrante ricorda l’assistente vocale delle applicazioni per la meditazione guidata, progettata per avere un effetto rilassante. In questo loop visivo, la salute del nostro corpo e quella mentale diventano merce di scambio, un insieme di dati da estrarre per la creazione di pubblicità sempre più personalizzate. Come nasce il progetto?
BBK: Mi fa piacere che questi riferimenti siano evidenti, perché è esattamente quello che stavo cercando di riprodurre – sarei interessato a saperne di più sul tuo periodo alla società di gestione del risparmio! Il video, originariamente commissionato da Daata e dal Bass Art Museum nel 2019, è stato realizzato con l’obiettivo che il lavoro fosse visto e presentato prevalentemente su Instagram. All’epoca stavo realizzando molti lavori su Facebook e sul suo fondatore, Mark Zuckerberg, ed ero interessato a come le società di social media utilizzano i dati degli utenti per creare pubblicità mirate e influenzare le elezioni.
In questo periodo ho anche usato regolarmente un’applicazione sul mio telefono, progettata per aiutare a dormire, che simula il suono di una foresta di notte, con tanto di fuoco scoppiettante e qualche gufo. Tuttavia, non pagando, di tanto in tanto veniva riprodotta la pubblicità di un’altra applicazione, interrompendo le sonorità della foresta digitale. La pubblicità era quella di Headspace, un’applicazione di meditazione guidata progettata per “aiutare gli utenti a creare abitudini che cambiano la vita e che sostengono la loro salute mentale” e per consentire loro di trovare una “versione più sana di se stessi”. Mi hanno molto interessato le pubblicità e il fatto che molte di esse utilizzassero metafore piuttosto inquietanti per parlare di salute mentale, utilizzando al contempo una voce molto rilassante e monotona. La maggior parte degli spot è doppiata da Andy Puddicombe, uno dei co-fondatori dell’azienda, e di solito è accompagnata da uno stile di animazione 2D semplice ma colorato.
Questo stile di animazione, quello da cui hai detto che l’azienda in cui lavoravi era così ossessionata, è una forma di flat design, un linguaggio di design minimalista che è diventato sempre più popolare tra la metà e la fine degli anni 2010, in particolare per l’uso in pubblicità e infografiche sui social media. È stato descritto come uno stile di design fatto per i millennial, che crea versioni eccessivamente semplificate della nostra realtà, perfettamente sviluppate per gli spazi digitali “appiattiti” che abitiamo online. Di recente questo stile di design si è spinto ancora più in là, trasformandosi in neomorfismo, un tipo di minimalismo caratterizzato da un aspetto morbido e leggero, spesso con colori pastello a basso contrasto. L’artista Brad Troemel ha realizzato un ottimo video-saggio su questo tema nel 2021.
Quindi, sì, all’epoca stavo riflettendo su tutti questi aspetti, a partire dal brief iniziale sul lavoro che viveva su Instagram fino a pensare al tracciamento dei dati e alle app progettate per aiutare a dormire. Volevo usare gli stessi strumenti e le stesse tecniche di queste aziende per sovvertire, in qualche modo, la forma a cui io e molti altri ci siamo abituati quando scorriamo i siti di social media.
GC: Il nostro benessere è diventato ormai un bene di consumo assoggettato alle logiche capitaliste, suddiviso in una serie di task e attività tracciabili per quantificare il nostro livello di salute fisico e mentale. È come essere in un incubo videoludico. Le app dedicate al benessere individuale scaglionano la nostra vita in micro task che, una volta completati, ci infondono un sollievo temporaneo – complimenti, hai raggiunto i tuoi 10.000 passi giornalieri! – ci fanno credere di avere la situazione sotto controllo e che questo sistema di micro management ci infonda un senso di ordine mentale. È la gamificazione portata alle estreme conseguenze. Non ne siamo consapevoli o forse preferiamo non pensarci?
BBK: La gamificazione delle nostre vite è una miniera d’oro per i trader di dati, oltre a essere utilizzata in modi molto più biechi. L’anno scorso, in seguito al rovesciamento della sentenza Roe Vs Wade negli Stati Uniti e al fatto che il governo ha reso illegale l’aborto in molti Stati, molte persone hanno iniziato a cancellare le loro app di monitoraggio delle mestruazioni per paura che il governo potesse accedere ai loro dati e utilizzarli contro di loro nei procedimenti giudiziari. I nostri dati vengono già utilizzati in innumerevoli modi sconosciuti e, man mano che una parte sempre maggiore delle nostre vite viene controllata attraverso le tecnologie digitali, diventeremo sempre più mercificabili e penalizzati. Attualmente sto leggendo Hello World: How to be Human in the Age of the Machine, di Hannah Fry, che illustra diversi esempi di come gli algoritmi stiano dirigendo il corso delle nostre vite, che ci piaccia o no. Il libro descrive, in vari modi, come gli algoritmi sappiano più cose su di noi dei nostri amici e familiari più stretti.
Credo che la maggior parte delle persone sia consapevole di come vengono utilizzati i nostri dati personali, ma sta diventando sempre più difficile navigare nel mondo senza utilizzare dispositivi che tracciano i tuoi movimenti e le tue abitudini quotidiane, sia on che offline. Sembra che la maggior parte delle persone lo accetti o, come dici tu, preferisca non pensarci. Mi piacciono molto The Circle e The Every, una serie di libri distopici in due parti di Dave Eggers che, da quando ho letto il primo libro nel 2013, hanno davvero plasmato la mia opinione sui siti di social media e sulle aziende in generale. Si tratta di una potente azienda globale che controlla il 99% del mercato, concentrata sulla creazione di uno stato di sorveglianza e sull’appiattimento di ogni senso di individualità. In The Every, il secondo libro, c’è un momento in cui la vita delle persone è diventata così automatizzata da ricevere centinaia di aggiornamenti e promemoria programmati in un giorno, che le istruiscono su cose apparentemente semplici come andare in bagno o salire le scale. Le persone si abituano rapidamente a questi aggiornamenti, perdendo l’autonomia che avevano su se stesse nel tentativo di aumentare il proprio punteggio di credito sociale, un sistema di valutazione che ricorda quello introdotto dal governo cinese.
GC: È interessante come la voce narrante del video elenchi varie storture del mondo contemporaneo, dalla vita frenetica alla gig economy, alle aziende che ci sobbarcano di stimoli tecnologici fino alla perfezione tanto ambita del nostro feed Instagram, e di come simpatizzi verso noi poveri umani che dobbiamo navigare in questo mare magnum, per poi in realtà cercare di persuaderci nel dare fiducia a queste stesse tecnologie per tenere a bada la mente. Oltretutto, le infografiche animate rispecchiano particolari parole chiave – ad esempio al minuto 4 circa si sta parlando della monotona e ripetitiva routine, e vediamo un automa intento a lavorare ad un nastro trasportatore con dei pacchi. Cosa c’è dietro all’idea di unire le infografiche e il testo in sovrimpressione tipico delle live news? Inoltre, il formato verticale non è molto comune. Come mai hai deciso di utilizzarlo?
BBK: Come dicevo prima, ho voluto utilizzare immagini che ricordano le pubblicità di Headspace, da cui è nata l’ispirazione per le semplici infografiche, e i video di formazione aziendale più semplici. Per me, il feed di notizie in diretta conferisce un senso di urgenza al lavoro, oltre a un certo tipo di autorità e di potenziale fiducia che deriva dalle notizie trasmesse in diretta.
Con molti dei miei lavori, e in particolare con i miei cortometraggi, voglio indurre nello spettatore un senso di sicurezza non meritato, in cui si fida di ciò che gli viene detto grazie a determinati spunti visivi e uditivi. In questo caso utilizzo uno stile di animazione che molti sono abituati a vedere nei loro social media e nei loro feed televisivi, uno stile più incentrato sulla trasmissione di informazioni che non dovrebbero o non hanno bisogno di essere messe in discussione, piuttosto che su uno stile aperto all’interpretazione. Questo elemento del lavoro fa parte di un altro mio interesse costante: la mancanza di domande su ciò che vediamo e consumiamo sui social media. A questo si aggiunge il feed di notizie in diretta, sempre elementi della vita quotidiana di cui ci sentiamo in qualche modo sicuri. In particolare, l’overlay delle notizie in diretta è qualcosa che si può guardare rapidamente per avere un’idea generale di ciò che si sta parlando. È anche molto veloce e non dà molto tempo per riflettere su ciò che si sta facendo. È pura informazione da digerire.
Gli elementi uditivi del video, come la musica rilassante e la voce fuori campo terapeutica, cercano ancora una volta di cullare lo spettatore. Ho incaricato un doppiatore che di solito registra voci fuori campo per video di yoga e meditazione di leggere il testo, esplorando l’idea che, se si ascolta qualcuno che parla piano, è meno probabile che ci si interroghi o si approfondisca troppo quello che sta dicendo. Come dicevo prima, l’intera opera è un tentativo di sovvertire questi elementi che vediamo e con cui interagiamo nella vita quotidiana.
Ho scelto di realizzare il video in verticale perché si adattava al brief originale che ho menzionato prima e perché sembrava molto più connesso al modo in cui interagiamo con questo tipo di annunci oggigiorno: interrompere lo scorrimento continuo del feed per guardare un annuncio promozionale dedicato al benessere. Ho realizzato un’altra versione orizzontale per una visione più tradizionale, anche se preferisco di gran lunga visualizzare l’opera in verticale, perché è intrinsecamente legata ai dispositivi che utilizziamo costantemente. Mi è sembrato più appropriato riportare l’opera all’argomento che stava esplorando, come se, una volta ultimata, risiedesse accanto alle pubblicità a cui originariamente cercava di fare riferimento.
GC: Sempre più applicazioni e servizi digitali ci spingono verso un continuo miglioramento del nostro corpo, a livello estetico, e mentale, nell’essere ad esempio più organizzati e produttivi, rimanendo calmi e rilassati. Ciò si riverbera però anche nei contenuti che gli utenti pubblicano online: ad esempio, su YouTube, impazzano video che insegnano agli altri come utilizzare bullet journal per essere efficienti, fare journaling per mettere ordine nella propria mente, visualizzare i propri obiettivi, ecc.. . Da un lato si hanno i transumanisti che auspicano in un futuro in cui l’ingegnerizzazione del corpo riesca a trasformarci in super umani, dall’altro però ci circondiamo di filtri, servizi, applicazioni, con la speranza che ci migliorino, ci guidino. Siamo arrivati per caso ad un punto di non ritorno in cui le Big Tech ci stanno plasmando e stanno ricodificando i nostri desideri e le nostre necessità? Quali meccanismi di contrattacco potremmo mettere in piedi?
BBK: Sono molto tentato di dire di sì, e che tutto ciò che vediamo online può essere e è potenzialmente controllato, e così facendo sta influenzando il modo in cui ci muoviamo e vediamo il mondo. Ricordo di aver letto un articolo su come Facebook conduca costantemente esperimenti sul proprio sito per capire come utilizzare al meglio il proprio pubblico. Per esempio, facendo in modo che gli utenti possano vedere solo contenuti specifici del loro gruppo di amici, o che vengano proposti solo annunci di prodotti di destra o di sinistra. Questo ha influenzato in modo determinante la percezione che gli utenti hanno dei loro amici o il loro voto alle prossime elezioni.
Quindi sì, penso che siamo a un punto di non ritorno e che, finché i siti di social media guadagneranno quantità impensabili di denaro dai loro utenti, non cambieranno il modo in cui usano e abusano di noi. Nemmeno io ho una risposta su come questo possa o meno cambiare, dato che sono coinvolto nella pesante morsa dei social media come chiunque altro. Anche se ho una visione piuttosto negativa del futuro, senza risposte concrete, due artisti il cui lavoro mi piace molto e che cercano di combattere gli effetti negativi dei social media e dell’uso dell’IA sono Ben Grosser, che realizza lavori sui siti di social media e sui modi per contrastare i loro algoritmi, e Joy Buolamwini e il suo lavoro con l’Algorithmic Justice League, un’organizzazione no-profit di difesa del digitale la cui missione è quella di sensibilizzare l’opinione pubblica sugli impatti dell’IA.
GC: I tuoi ultimi lavori si concentrano molto sul futuro degli spazi gamificati e sui meccanismi di sorveglianza implementati dalle corporazioni tech, non ti riferisci solo ai droni ma anche al modo in cui gli algoritmi plasmano i contenuti che guardiamo sui social media (o che pensiamo di voler guardare). Come nasce questo approccio critico verso tematiche di questo tipo e come si configura questo tipo di indagine in relazione ai machinima e a lavori simil a questo, ovvero Sleep Made Simple?
BBK: Come dicevo prima in risposta alla tua prima domanda, molto del mio lavoro è ispirato da quanto sono pessimista e pieno di timore nei confronti del presente e del futuro prossimo, quindi ogni volta che cerco di fare un nuovo lavoro su un certo argomento lo guardo generalmente da un punto di vista pessimistico. Sono sicuro che ci sono aspetti positivi in molte delle cose su cui lavoro, ma spesso quando inizio a fare ricerche su un argomento scopro un elemento che lo inficia completamente. Non vado necessariamente alla ricerca di questo aspetto negativo, ma il più delle volte è lì, in modo evidente o nascosto, appena sotto la superficie.
Credo che la maggior parte, se non tutto, il mio lavoro rientri nelle idee generali che ho citato sopra: strutture di potere, nuove tecnologie e iperconsumismo. I miei lavori basati sui machinima, film prodotti utilizzando diversi videogiochi, esplorano questi stessi temi. Prendiamo, per esempio, il mio film del 2020 I Wish I’d Been Born a Balloon, che vede un drone volare nel mondo di Grand Theft Auto V, riflettendo sui droni e sulla loro storia e lamentando il fatto che si tratta di una macchina costruita per portare distruzione, piuttosto che gioia. L’opera parla dei droni e di come siano sempre più pervasivi nella vita di tutti i giorni, ma utilizza come sfondo GTAV, un videogioco che, quando è stato lanciato nel 2013, si diceva fosse la simulazione più “accurata” del mondo fisico. L’uso del machinima all’interno di questo pezzo parla di come la stessa sorveglianza del mondo fisico attraverso i droni avvenga anche online e negli spazi digitali.
Naturalmente ci sono altri livelli di utilizzo dei videogiochi e di GTAV nel mio lavoro, e le implicazioni che ne derivano. Da come GTAV è stato/è visto come un “simulatore di omicidi”, in cui i giocatori possono imbarcarsi in sparatorie di massa, a come Rockstar Games (lo sviluppatore che ha realizzato GTAV) abbia una “cultura del crunch”, facendo lavorare eccessivamente i propri dipendenti per settimane, o addirittura mesi, durante il periodo che precede il lancio di uno dei suoi giochi. Mi sembra che l’uso dei videogiochi per creare il mio lavoro, e in particolare di GTAV (che ho fatto alcune volte), si colleghi sicuramente ai temi generali che cerco di affrontare nei miei diversi progetti.
GC: Vorrei parlare del tuo ruolo di curatore. Ci siamo conosciuti nel 2018 via email quando ti ho contattato per capire come è nato isthisit? e per conoscere nel dettaglio l’attività di una galleria online come la tua. In questi 4 anni la piattaforma è cresciuta notevolmente ed è diventata un punto di riferimento, soprattutto per i giovani artisti e curatori che si dedicano all’arte digitale e per quelli che come me, ad esempio, lavorano anche nel campo della game art. Come si è evoluto isthisit? da allora, quali aspetti sono cambiati? Come hai gestito le attività della galleria durante la pandemia?
BBK: Ho iniziato isthisit? nel 2016 come tentativo di capire cosa fosse la curatela. All’epoca ero piuttosto giovane e non avevo la minima idea di cosa fosse o facesse un curatore. Attraverso la piattaforma lavoro con gli artisti, curo mostre online e offline, pubblico libri e ho un programma di residenze online.
All’inizio ero intenzionato a fare più esperienza possibile, così ho lavorato con centinaia di artisti, ho curato mostre online ogni due settimane e ho detto sì a ogni opportunità curatoriale che mi veniva offerta. Con il passare del tempo ho ridimensionato un po’ quel programma di lavoro iniziale, incredibilmente frenetico.
Nel 2020 ho perso i miei due lavori principali a causa della pandemia, così ho finalmente chiesto un finanziamento all’Arts Council England. Fortunatamente la domanda è stata accolta e ho potuto organizzare e intraprendere un progetto di sei mesi sul sito, con il tema generale delle reti, che esponeva ed esplorava l’architettura di fondo della nostra vita quotidiana, indagando le reti sociali, politiche, digitali e gerarchiche in cui risiediamo. Il progetto ha coinvolto diciassette artisti, scrittori e collettivi, quattro mostre online e una tavola rotonda online, oltre a incaricare alcuni scrittori di intervistare gli artisti esposti e di scrivere saggi in risposta a ciascuna mostra, che sono stati poi pubblicati in un libro fisico.
Poter pagare adeguatamente gli artisti e gli scrittori con cui ho lavorato attraverso isthisit? in quel periodo, per la prima volta dall’avvio del sito, ha davvero cambiato il mio modo di operare. Da quando quel progetto è terminato nel 2021 non ho più fatto nulla direttamente con il sito. Da allora ho deciso consapevolmente di non lavorare con artisti o scrittori attraverso isthisit? a meno che non ci siano fondi disponibili, altrimenti mi sembra di sfruttare loro e il loro lavoro. Quindi, per il momento, ho messo in pausa la maggior parte delle attività di isthisit?. Dal 2021 ho fatto diverse richieste di finanziamento per progetti, ma non sono state accolte. Quest’anno, nel 2023, curerò due mostre fisiche, ma in un certo senso sono scollegate dalla piattaforma isthisit?. Negli ultimi anni mi sono anche concentrato molto sul mio lavoro artistico, partecipando a residenze e a mostre personali, e isthisit? è passato in secondo piano. È molto più facile sottopagare i propri progetti piuttosto che affidarsi alla gentilezza degli artisti. Mi piacerebbe avere una mia galleria fisica un giorno, ma per il momento è solo un mio piccolo sogno.
09/02/2023