BARON LANTEIGNE
Metronom: Orb (2016) è la seconda opera video presentata nel contesto di Digital Video Wall. Orb è un loop continuo creato trasformando insieme diversi filmati di nuvole utilizzando il datamosh, una tecnica glitch che si serve del movimento di una clip per distorcere la trama di quella precedente. Qual è la tua Digital Deviation (deviazione digitale), tema di questa edizione del progetto Digital Video Wall?
Baron Lanteigne: Le immagini digitali sono uno dei medium più comuni oggi. È sicuramente quello che io sfrutto di più. La continua esposizione a immagini digitali ci ha abituato ad alcuni dei suoi “difetti” tecnici come la sovraesposizione, il fuori fuoco, la sfocatura del movimento, anomalie cromatiche, ecc. Questi difetti ora ci guidano nel valutare se un’immagine digitale documenta qualcosa di reale o no. Senza prestarvi troppa attenzione, sappiamo che ogni medium lascia una sorta di impronta digitale che associa il soggetto al suo contenitore. Nel mio lavoro, questa impronta è il punto di partenza e il medium diventa il soggetto. Cerco costantemente di identificare che tipo di esperienza facciamo dei media per poi estendere questi tecnicismi a una pratica a sé stante.
M: Orb è davvero più simile a un dipinto digitale animato che a un video e, come hai detto, si tratta quindi di una riflessione sulla creazione di immagini digitali e sui loro meccanismi interni. Puoi parlarci della tua ricerca e della tua pratica attraverso il tuo approccio poliedrico?
BL: Mi è sempre piaciuto il modo in cui le trame create dal datamosh mi ricordano i tratti della pittura mentre fondono insieme diverse fonti di immagini. Il mio processo di datamosh interrompe la realtà e rivela come i pixel siano guidati da algoritmi. Tutto ciò che vediamo in questo processo è in qualche modo legato al tempo. Nell’animazione ogni fotogramma dipende dal precedente poiché manipolo gli algoritmi di compressione del video. Al contrario, quando guardiamo il risultato finale, questo movimento costante è bilanciato dalla semplicità della scena. Non uso questo medium fondato sulla temporalità per creare una narrazione. Mi interessa presentare il medium video come un materiale malleabile.
M: Nei tuoi ultimi lavori, gli schermi LCD che scegli come display sono concepiti come portali che collegano una dimensione fisica e una virtuale e le immagini che crei costituiscono ambienti reali. Come percepisci queste due dimensioni e dove si colloca la tecnologia? Virtualità e fisicità sono così opposte?
BL: In base a come li mettiamo in relazione, penso che si considerino la virtualità e la fisicità come opposte. Spesso ne presentiamo una come un’alternativa o un compromesso all’altra. Detto questo, sono principalmente interessato all’infrastruttura fisica richiesta per supportare il virtuale. Penso che questa tecnologia si sia integrata alle nostre vite più velocemente di quanto potessimo progettarla per adattarla alle nostre esigenze. L’esperienza sembra incompleta. Un esempio di questo è il modo in cui il nostro senso del tatto è richiesto per interagire con i nostri schermi portatili e tuttavia sono piatti e rigidi. Ora estendo le mie creazioni virtuali al mondo fisico considerando come vengono presentate con un’enfasi su questo hardware.
M: Tangible Data è un progetto multiforme e immersivo, con una struttura fortemente scultorea. Puoi parlarci un po’ del processo creativo che segui per opere d’arte così coinvolgenti virtualmente?
BL: Una delle mie preoccupazioni per Tangible Data era utilizzare il progetto come strumento per spiegare l’influenza di NFT sugli artisti digitali. In questo senso, il progetto non è mai stato legato a un medium specifico diverso dagli NFT. Detto questo, il progetto è stato sempre concepito per essere presentato in un contesto fisico ad un certo punto. La pandemia ha anche indotto molte persone a domandarsi come presentare l’arte in contesti differenti. Trovo grande ispirazione nell’assurdità di creare un white cube virtuale solo per associare un’opera d’arte all’ambientazione artistica contemporanea anche se questa sarebbe più facilmente fruibile come immagine digitale su un sito web minimale. Per me le stanze virtuali avevano un duplice scopo: le creazioni virtuali sono opere d’arte di per sé, ma fungono anche da prototipi per come voglio presentare il mio lavoro nella vita reale.
M: Qual è il tuo rapporto con i social media? Ti interessano sia come opportunità creative sia come strumenti di archiviazione?
BL: I social media richiedono molto tempo, ma il guadagno è troppo alto per lasciarselo sfuggire. Credo che questo obiettivo secondario di ottenere maggiore visibilità sia una distrazione che rende gli artisti meno creativi. Detto questo, le culture native digitali che stanno emergendo sono per me fonte di grande ispirazione. Questo interesse funziona come una soluzione alternativa per me poiché la mia partecipazione a questo fenomeno è sempre stata parte integrante della mia pratica. I social media sono uno strumento di archiviazione estremamente scarso perché ci costringe a consegnare il nostro lavoro a un’entità più ampia su cui non abbiamo alcun controllo.
M: Il tuo coinvolgimento con alcune comunità online radicali rappresenta una grande fonte di ispirazione per la tua pratica artistica. Potresti spiegare come sono nate queste relazioni e come influenzano la tua pratica?
BL: Tutti possono trovare la propria nicchia online. È liberatorio trovare così tante alternative alla cultura tradizionale. Ciò permette a tendenze culturali che altrimenti non troverebbero mai spazio di prosperare. Apprezzo come le persone possano ritrovarsi a proposito di qualcosa di così preciso. Lo pseudo-anonimato di alcune piattaforme ci fa dimenticare per un minuto l’individuo così possiamo assistere allo sforzo collettivo di “risolvere” tutto e rivelare l’essenza del loro interesse comune. Sono un fan del concetto di scenius (genio comune) di Brian Eno e penso che Internet e le sue comunità lo stiano rafforzando.
M: Puoi parlarci dei tuoi studi e della tua formazione? Come, in caso, hanno influenzato la tua pratica? Ci sono esperienze professionali che hanno lasciato un segno particolare in te e nella tua arte?
BL: Ho studiato Intermedia Cyberarts alla Concordia University di Montreal, in Canada. Il programma ci ha introdotto a un po’ di tutto e ci ha incoraggiato a combinare varie tecniche. Sono per lo più autodidatta, ma apprezzo questo approccio come artista poiché rimango libero di passare da un medium all’altro fintanto che serve al mio obiettivo. Nella mia pratica, mi sento stimolato finché imparo qualcosa di nuovo.
Baron Lanteigne (1987) descrive il nostro rapporto con la tecnologia e le sue infrastrutture attraverso installazioni multimediali che combinano schermi modificati e strumenti elettronici che agiscono come vie d’accesso ai suoi mondi virtuali. Lanteigne vive e lavora a Québec City, Canada, ma il fulcro della sua pratica artistica deriva dal suo coinvolgimento in diverse comunità radicali online e da collaborazioni virtuali. Scaturiti dal web, i suoi lavori sono presentati in eventi di arte digitale internazionali come The Wrong Biennale, real-fake.org, ISEA 2020, Les Garages Numériques (BE), Mapping Festival (CH), Mirage Festival (FR), Vector Festival (CA), Dutch Design Week (NL), Sónar+D (ES), CuVo Video Art Festival (ES), Electrofringe (AU), CPH:DOX (DK) e Ludwig Museum, Budapest (HU). Baron Lanteigne si è anche specializzato come consulente tecnologico per artisti e artist-run centers.
©Baron Lanteigne and METRONOM, 2021
10/05/2021