AVATAR | ALBA ZARI
Una rete, mappatura generata da un occhio digitale, si estende sul volto di Alba Zari, ricoprendone ogni dettaglio ed evidenziandone le forme e le caratteristiche più pronunciate, restituisce un’immagine che non è rappresentazione ma indagine, ricerca e ricostruzione. Il dittico Avatar (2016) si compone di due stampe fotografiche raffiguranti immagini digitali in bianco e nero in cui il volto dell’artista viene scansionato attraverso il software Make a Human e tradotto in un’immagine virtuale. L’opera di Zari, parte del progetto di ricerca The Y, sfida la concezione tradizionale di fotografia e pone il dubbio sulla veridicità di questo strumento e, contemporaneamente, ne sperimenta gli aspetti più innovativi per perseguire una ricerca all’interno della sua storia personale.
In Memorie di un assassino l’investigatore Park Du-Man si tormenta nel tentativo di scoprire l’identità e il volto dell’assassino che sta compiendo numerosi omicidi nella città coreana in cui è ambientato il film. Con la stessa ossessione ma anche con lo stesso metodo analitico e chirurgico, Alba Zari persegue la sua indagine per trovare l’immagine del padre che non è mai riuscita a conoscere. Come Park Du-Man, l’artista passa in rassegna ogni fonte a sua disposizione, ogni documento, ogni minima traccia che possa riportarla al padre, ma ogni tentativo è un fallimento e non porta a nient’altro che ad un’ulteriore scoperta del vuoto attorno alla figura del padre. La fotografia allora, che non può più venire in aiuto come documentazione o attestazione, diventa nella ricerca dell’artista un metodo di investigazione visiva con il quale, se non è possibile rappresentare la realtà del presente, cercare quantomeno di ricostruire un’immagine inesistente. La fotografia si fa proiezione e sogno.
Inserendo il suo autoritratto in un software in grado di modellarne i tratti e selezionare quali poter escludere dall’immagine e quali invece ricostruire o sostituire, Zari decide di togliere le caratteristiche materne del suo volto così da poter avvicinarsi all’inaccessibile immagine del padre. L’avatar risultante, che raccoglie in sé la maggior parte di informazioni rintracciate dall’artista, diventa l’immagine di un vuoto, di un ricordo inaccessibile: compromettendo lo statuto tradizionale della fotografia intesa come attestazione della realtà presente, Avatar si definisce come immagine dell’immaginazione, del ricordo perduto e del desiderio.
L’approccio analitico e scientifico che può descrivere Alba Zari come un’investigatrice si trasforma nella voce narrante di un romanziere che ricostruisce un racconto in cui i tratti di riconoscibilità con il reale si mischiano con le proiezioni personali, l’immaginario del proprio passato e le proiezioni di un futuro in costruzione. Avatarutilizza strumenti tecnologici e scientifici per piegarli alla poesia dell’immaginazione.
Avatar di Alba Zari è in mostra presso Castello Campori a Soliera (MO) all’interno del progetto espositivo Giochi di verità. Rappresentazione, ritratto, documento. La mostra, a cura di Marcella Manni, raccoglie un’ampia selezione delle opere provenienti dalla collezione Donata Pizzi. Giochi di verità è visitabile fino al 15 gennaio 2023.
Alba Zari
Avatar, dalla serie The Y, 2016
Stampa Ink jet, 42 x 59.4 cm
© Courtesy l’artista e Collezione Donata Pizzi